Ci sono autori di cinema "condannati" al limbo dell'invisibilità. Onesti mestieranti che lavorano da anni lontani dall'industria finché se ne intuiscono le potenzialità al botteghino e li si ingaggia dando loro in mano un budget di ben altro tipo per puntare più in alto. È più o meno quanto è accaduto al duo composto dagli statunitensi Glenn Ficarra e John Requa, partiti da quel "Colpo di fulmine" con la coppia Jim Carrey/Ewan McGregor, commedia agrodolce che strizzava l'occhio al pubblico mainstream mantenendo però saldi i principi della messa in scena indie, e giunti adesso, con il loro quarto film, a utilizzare gli ingenti fondi della Universal per tentare di portare il loro stile leggero e innocente in storie dalle ambizioni commerciali superiori.
"Whiskey Tango Foxtrot" è l'adattamento di un libro biografico scritto dalla giornalista Kim Barker, che ha ripercorso le sue avventure nel 2002 al confine tra Afghanistan e Pakistan. Un diario di bordo, ricco di aneddoti e che non risparmia autocritiche al mondo dei media che va in guerra al seguito dei militari. Il duo Ficarra-Requa ne tira fuori una ordinaria dramedy, il genere che meglio sanno realizzare. La protagonista, interpretata da Tina Fey, abituata a una carriera da dietro la scrivania, va alla scoperta di un mondo che non riteneva potesse davvero esistere. Nuove amicizie, insperati gesti di solidarietà, un ambiente circostante in parte ostile e in parte così affettuoso: insomma, una sorta di nuova nascita per una professionista relegata fino a quel momento al ruolo di comparsa nel suo mestiere.
L'invisibilità di cui parlavamo in apertura è quella di quegli autori incapaci di imprimere un segno riconoscibile alla materia narrativa che vanno a plasmare. I film di Ficarra e Requa, con variazioni verso l'alto o il basso poco rilevanti, sono tutti prodotti che potremmo definire "ordinari": sono pellicole pulite, semplificate fino all'osso, procedono senza intoppi e imprevisti dai titoli di testa a quelli di coda. Nessun guizzo particolare, nessuna intuizione destinata a restare nella mente dello spettatore. Sono quei prodotti di intrattenimento politicamente corretto, che affollano l'universo del cinema indipendente e che fanno gola, proprio per la loro innocenza, alle grandi potenze di Hollywood.
Il film funziona nella metà in cui non osa sguardi sul mondo e si mantiene su un registro emotivamente più consono al curriculum dei due registi. Tutta la parte che riguarda i rapporti personali che Kim trova lontano da casa è intelligente e divertente al punto giusto. E le comparse sono tutte di valore, indubbiamente: c'è la nuova amica Margot Robbie, il soldato Billy Bob Thornton, un simpatico e affascinante Martin Freeman con cui potrebbe anche nascere una relazione. Meglio soprassedere sul ruolo di Alfred Molina, chiamato come al solito a fare gli straordinari nei panni di personaggi impensabili e a tratti improponibili.
E meglio non essere troppo severi neanche su tutta la parte politico-militare del film, che rasenta il ridicolo per la sua superficialità e inconsistenza. È qui che Ficarra e Requa si dimostrano inadatti al salto di qualità: accettabili quando devono raccontare storie di piccolo cabotaggio, si rivelano dei dilettanti quando allargano l'orizzonte alla realtà circostante. La loro fotografia dell'Afghanistan post-invasione americana è poco più di un bozzetto improvvisato. Nel complesso, tra alti e bassi, un film che si lascia guardare e che scorre via placido come una serata di tarda primavera. Un po' le stesse sensazioni che ci aveva lasciato il precedente film.
cast:
Tina Fey, Margot Robbie, Martin Freeman, Christopher Abbott, Billy Bob Thornton
regia:
Glenn Ficarra, John Requa
distribuzione:
Universal Pictures
durata:
112'
produzione:
Broadway Video, Little Stranger
sceneggiatura:
Robert Carlock
fotografia:
Xavier Grobet
scenografie:
Beth Mickle
montaggio:
Jan Kovac
costumi:
Lisa Lovaas
musiche:
Nick Urata