Ondacinema

recensione di Vincenzo Chieppa
6.5/10

Un movimento di macchina rivela il fuori campo, mostrando qualcosa di inaspettato: c’è un uomo appeso a un gancio da macellaio nell’ampio locale in cui i due protagonisti, Tae-in e Chang-bok, stanno preparandosi come due addetti alle pulizie qualunque, indossando guanti, cuffiette e – uno dei due – un ridicolo impermeabile. I due smaltiscono cadaveri per conto della malavita. Sono due pavidi manovali del crimine, che si rifugiano nel retrobottega mentre il gangster di turno tortura a morte il malcapitato, per poi scavare la più tradizionale delle fosse per gettarne il corpo. 

Quel movimento di macchina si può dire che riveli un sottogenere, la black comedy un po’ cruenta che tanta fortuna ha avuto in Occidente (dai Coen a Tarantino) e a cui il sudcoreano Hong Eui-jeong decide di affidarsi per il suo esordio al lungometraggio, senza risparmiare le sortite nel grottesco, elemento ricorrente del cinema coreano e quasi stereotipico in certi tipi di produzioni. Hong il film l’ha anche scritto, riuscendo a coniugare perfettamente scelte di sceneggiatura e di regia, anche quando sembrano inevitabilmente concorrenti e sovrapponibili. C’è un esempio specifico che mostra questa perizia di un pur giovane autore, che non si può spiegare senza abbozzare un qualche accenno di trama. 

Come detto i due protagonisti sono due "smaltitori di corpi" della malavita. E la mafia orientale fa in fretta a cambiare correnti, visto che il boss della prima sequenza viene ben presto rimpiazzato, finendo per fare la stessa fine delle sue vittime (ossia anch’egli appeso al gancio da macellaio, pronto a essere smaltito). Ma prima del cambio della guardia, l’ex boss aveva commissionato ai due un compito extra, fuori dalle loro competenze e in quanto tale foriero di ansia e preoccupazioni: custodire una ragazzina sequestrata, la piccola Cho-hee, tenendola con loro fino a nuovi ordini. E parrebbe facile per chi è già abituato ad accudire una bambina, visto che uno dei due ha una sorellina. Ma ovviamente le cose non andranno come si pensava e la preventivata custodia di qualche giorno diventerà un parcheggio a lungo termine. 

Va poi detto – ed è fondamentale – che uno dei due protagonisti, Tae-in, è affetto da un mutismo che non si sa bene se sia patologico o psicosomatico. Circostanza che consente al regista di affidarsi alla forza delle immagini piuttosto che al potere delle parole, come tanti maestri del cinema sudcoreano hanno fatto in precedenza con pretesti anche più banali. Ed ecco allora che la ragazzina rapita, che nel suo piccolo è colpita da una variante orientale della sindrome di Stoccolma, si fa tenere compagnia dal suo sequestratore muto - nei momenti in cui deve recarsi nel bagno esterno della catapecchia in cui è segregata - tramite il di lui battito delle mani, appena fuori dalla porta, così che egli le faccia sentire la propria presenza e vicinanza.  

È questa, appunto, una di quelle scelte narrative che non si sa bene se attribuire a una sceneggiatura visionaria (bisognerebbe leggerla, per dirlo) o a una regia illuminata. Ma non è ancora nulla, perché la suggestione di quel gesto deve ancora manifestarsi in tutta la sua forza (e in tutt’altra circostanza): nel momento in cui Tae-in uccide involontariamente una agente di polizia che aveva scovato Cho-hee, quest’ultima cerca di infondere coraggio al suo sequestratore intento a seppellire la poliziotta, e lo fa battendo a sua volta le mani poco distante dal luogo in cui sta scavando la fossa. Un compito a cui era ben avvezzo, ma che stavolta pesa come un macigno, visto che è per un omicidio da egli stesso compiuto.
Che poi la poliziotta si risvegli, in modo alquanto grottesco, dalla presunta morte, è l'ingrediente che permette nuovamente al dramma di virare verso la black comedy, con tutte le contaminazioni del caso che si possono intravedere in una scelta di questo tipo (in primis, lo zombie movie). 

Se in "Voice of Silence" il lato comico non sembra mai convincere del tutto, sono sicuramente altri gli aspetti e i momenti che impreziosiscono l'opera. Il mutismo del protagonista. Quel (duplice) battito di mani. Le gocce di sangue che diventano, per la piccola Cho-hee, le corolle su cui disegnare i petali di fiori stilizzati. Sono piccole suggestioni di tradizione orientale infuse in un cinema che sempre più sta spostando il proprio baricentro verso quelle latitudini. E talvolta a dimostrarcelo sono piccoli film come questo, prima ancora che i capolavori osannati dalla critica e dal pubblico.


01/07/2021

Cast e credits

cast:
Yoo Ah-in, Yoo Jae-myung, Moon Seung-ah, Lee Ga-eun


regia:
Hong Eui-jeong


titolo originale:
소리도 없이 (Sorido eopsi)


durata:
99'


produzione:
Lewis Pictures, Broedmachine, Broccoli Pictures


sceneggiatura:
Hong Eui-jeong


fotografia:
Park Jeong-hoon


scenografie:
Jeong Min-kyung


montaggio:
Han Mi-yeon


musiche:
Jang Hyuk-jin, Jang Yong-jin


Trama
Tae-in e Chang-bok sono due pavidi manovali del crimine, che smaltiscono cadaveri per conto della malavita. Finché un giorno il boss ordinerà loro di svolgere un compito del tutto particolare: custodire una ragazzina sequestrata...