Dell'unico film italiano in concorso a Cannes 2009 si è già ampiamente dibattuto prima ancora della sua uscita, per ragioni meramente politiche. Non vorremmo che si finisse per tacere proprio ora, alla vigilia del verdetto della croisette e con la pellicola presente nelle sale: anche dal lato cinematografico, infatti, un film così sovraccarico, ambizioso, diseguale, può dividere pubblico e critica, generando discussioni infinite.
Liberamente ispirato al saggio storico (non privo di zone d'ombra) "Il figlio segreto del duce" di Alfredo Pieroni, il soggetto si adatta benissimo a quella narrazione che getta alle ortiche convenzioni e linearità cui Marco Bellocchio ci ha abituati. Il matrimonio di Mussolini con Ida Dalser, storicamente, non si può né provare, né smentire? Bene, il regista lo risolve con l'espediente di una sequenza dal realismo dubbio, che può tranquillamente essere la visione di una donna sana, ("un po' pazzerella lo era", si legge nel libro), che rischia di dare di matto una volta rinchiusa, innocente, in manicomio.
Prima parte del tutto atipica: un melò estremamente passionale, di fatto senza dialoghi, ma sviluppato a partire da immagini dal fascino gotico, da brevi monologhi privi di risposta, contrappuntato da intuizioni d'avanguardia e rari squarci onirici. Bellocchio, come Pieroni, sembra subire il fascino del giovane Mussolini (Filippo Timi, da Palma), indefesso agitatore socialista, nicciano e napoleonico nel suo interventismo.
Non è un caso che, preso il potere e instaurata la dittatura, dal film il Duce sparisca (comparendo solo in immagini di repertorio): l'illusione di un movimento rivoluzionario lascia il campo alla realtà un regime repressivo, che fa fuori i potenziali oppositori, ad esempio rinchiudendoli in un sanatorio. Praticamente, l'unica riflessione politica del film, se si esclude un accenno al ruolo della Chiesa: l'ateo che all'inizio e, in circolarità, alla fine della pellicola sfida con superbia Dio è colui che sigla i Patti Lateranensi, mentre il personale ecclesiastico è bastione del suo dominio.
La tenuta alla distanza è la questione dubbia, in merito alla riuscita del film. L'onnipresenza delle musiche pompose rischia di stancare, mentre lungaggini e altri momenti di noia fanno capolino. Né l'evoluzione parallela di storia e Storia, della follia del regime e di quella, presunta, delle sue vittime, appaiono del tutto convincenti. Ma Bellocchio ha l'intelligenza di non far concludere la sua opera (salvo didascalie finali) con la morte degli sconfitti, bensì con una sequenza straordinariamente evocativa: il figlio segreto del Duce (sempre Timi), prima di soccombere, si lancia in una schizzata imitazione del padre, mentre il dramma della guerra incombe. Una delle tante sequenze da ricordare, al pari del ricovero della madre successivo al di lei pestaggio.
Citazioni cinefile per Chaplin, Ejzenstejn, Pastrone, Blasetti.
cast:
Filippo Timi, Giovanna Mezzogiorno, Michela Cescon
regia:
Marco Bellocchio
distribuzione:
01 Distribution
durata:
128'
produzione:
Offside, Rai Cinema, Celluloid Dreams
sceneggiatura:
Marco Bellocchio, Daniela Ceselli
fotografia:
Daniele Ciprì
scenografie:
Marco Dentici
montaggio:
Francesca Calvelli
costumi:
Sergio Ballo
musiche:
Riccardo Giagni