Layla Ji, regista cinese agli esordi con un lungometraggio, spicca al FEFF 22 con un dignitoso secondo posto grazie a una pellicola incentrata sul bullismo, l’omosessualità e il disagio giovanile, caratterizzata da una sceneggiatura solida ma non scontata e a una buona prova attoriale. Il film è stato tra l’altro interamente girato in Malaysia per evitare che le tematiche che lo innervano possano in qualche modo incappare nella censura di stato.
I protagonisti sono gli adolescenti di un liceo e le loro famiglie. In una notte di pioggia battente, Gu chiama col cellulare il figlio Gangzu, ma questi non risponde. Nell’inquadratura successiva scopriamo che è appena caduto vittima di un omicidio. Quella stessa notte anche due suoi amici vengono aggrediti e ricoverati in gravi condizioni. Successivamente, in un contesto scolastico generale e in quello dei compagni di classe in particolare contraddistinto da una sostanziale indifferenza sull’accaduto, al tamtam delle notizie provenienti dagli organi inquirenti si somma quello dei pettegolezzi che la stampa, colpevolmente, alimenta. "Victim(s)" è un film di strettissima attualità che prende di mira la distorsione della verità, il cinismo di certa stampa, l’indifferenza dei giovani e più in generale la superficialità dell’opinione pubblica. Infatti, quando Chen, compagno di classe di Gangzu, si autoaccusa del delitto e del ferimento degli altri due, tutti puntano il dito contro di lui ergendosi a giudici che hanno già emesso la sentenza. Ai loro occhi Chen è sicuramente colpevole perchè proveniente da una facoltosa famiglia e convinto di poter farla franca con la giustizia proprio grazie alla propria posizione socio-economica. Per di più, Mei, la madre, è proprietaria di un’azienda che commercia videogiochi violenti e ciò costituisce un’ulteriore prova a discapito di Chen e della sua famiglia. Il movente del delitto sarebbe la contesa per Xu, una nuova e avvenente compagna di classe, che ha lasciato languire la propria passione per la danza in seguito a eventi burrascosi. Quando però Chen viene arrestato e la sua cella inondata di missive anonime rigurgitanti il disprezzo per ció che ha fatto, inizia una serie di flashback che, pirandellianamente, ci restituiscono i veri antefatti della vicenda.
Emerge che il contesto nel quale è maturato il delitto è ben differente da quello che corre sui social. Chen, prima di essere responsabile dell’omicidio, è infatti vittima dei continui atti di bullismo di Gangzu e dei suoi due gregari. Tra le due famiglie i rapporti rimangono tesi fino a quando la madre di Gangzu scopre degli indizi sull’omosessualità del figlio. Omosessualità che è alla base del bullismo: egli vessava Chen proprio per superare il complesso di inferiorità derivato dalla propria condizione. La prova regina è data da un video scoperto da Gu sul computer di Gangzu che testimonia un violento episodio di bullismo. Per giunta, sempre i flashback intrecciati alla diegesi al presente svelano che ad essere degradato è il contesto familiare di Gangzu: il padre è alcolista e viene abitualmente alle mani col figlio, il quale vorrebbe che la madre lo cacciasse di casa. La lacerazione del tessuto familiare è evidenziata anche dalle scelte di inquadratura: manca del tutto un totale su questa famiglia, rappresentata preferibilmente con dei two shot. Quando Chen, paventando una lunga pena detentiva, tenta il suicidio, Gu fa visita a Mei consegnandole il video con le violenze perpetrate dal figlio defunto e facendo così un primo passo verso quella che parrebbe una riconciliazione. Per questa pellicola, tuttavia, Layla Ji non ha scelto un lieto fine. Per quanto il riavvicinamento tra le due donne non sia secondario, e Xu, anche lei vittima del branco, sembri ritrovare nella passione per la danza l’inizio di una nuova vita, alla fine del film si avverte che non tutte le tessere del puzzle collimano perfettamente.
"Victim(s)" è un film disturbante e la regista ha voluto che il pubblico percepisse, al termine dello spettacolo, la sensazione di aver ricevuto uno schiaffo. Innanzitutto perché nel film l’opinione pubblica si ricrede sulla vicenda solo dopo aver visto il video delle violenze diffuso tramite i social. Poi perché la maldicenza continua comunque a picchiare duro su Xu, pubblicamente additata. E infine perché la sete di scoop dell’orda di giornalisti che fa ressa intorno a Gu e a Mei sembra placarsi solo dopo che quest’ultima, stufa, scaraventa a terra una delle loro macchine fotografiche. Un discorso a parte meritano i cellulari e i social. Sempre in primo piano negli snodi decisivi dell’intreccio, sovente anche nelle scelte di inquadratura, sostanziano il cortocircuito critico dei personaggi, sia giovani che adulti, ridotti ad attanti eterodiretti perché privi di autonomo giudizio: non solo tutto ciò che passa per questi strumenti della comunicazione è verità, ma affinchè una fatto vero venga riconosciuto come tale deve passare attraverso di essi.
La messa in scena non fa particolari distinzioni fra le ore diurne e quelle notturne: gli atti di violenza si consumano tanto di giorno, nella cristallina luce solare, quanto la sera, complice l’oscurità. E ciò per indicare che l’abiezione è sì intrinseca al contesto socio-culturale che la partorisce, ma debitrice anche dell’abiezione di chi vede e soprassiede: gli involontari testimoni delle violenze preferiscono girare la testa da un’altra parte. Ad accentuare ulteriormente la sensazione di un happy end solo parziale è la rarefazione cronologica e geografica: non un calendario, non una data, non un luogo in cui circoscrivere i fatti e oltre il quale tracciare un solco così netto da far sentire lo spettatore al sicuro, immune dalla contagiosità della malattia morale, sereno nel suo vivere quotidiano, in pace con la propria coscienza. I temi del bullismo e dell’omosessualità, affrontati in questo modo da Layla Ji, diventano una miscela esplosiva dirompente in grado di mandare in pezzi granitiche certezze. "Victim(s)", con la duplice possibilità di lettura (al singolare e al plurale) più che la presunzione di dare risposte su quante e chi siano le vittime ha il merito di sollevare domande. E non solo in Estremo Oriente.
cast:
Xianjun Fu, Kahoe Hon, Wilson Hsu, Lu Huang, Remon Lim, Lim Jian Wen, Tan Hau Yen
regia:
Layla Zhuqing Ji
titolo originale:
Jihai zhe, beihai ren
distribuzione:
MM2 Entertainment
durata:
108'
produzione:
Kent Chan, Layla Zhuqing Ji, Aron Koh
sceneggiatura:
Layla Zhuqing Ji
fotografia:
Eunsoo Cho
montaggio:
Hsiao-Yun Ku
musiche:
Alexander Arntzen