I percorsi dell'animo umano sono misteriosi e paradossali, quasi mai uguali a come li abbiamo pensati. Tutto ciò che li riguarda deve essere preso con cautela, soprattutto quando si tratta di metterli in scena perché il rischio è quello di fraintenderli oppure di addomesticarli, riducendoli ad una confezione regalo. Era dunque questo il problema principale di Maria Sole Tognazzi nel raccontare la storia di Irene, single quarantenne intenzionata a mantenersi lontana dalle trappole della vita di coppia: da un lato la necessità di rendere visibile ciò che non si vede, dandogli voce evitando di diventare qualcos'altro rispetto al cinema, per esempio letteratura filmata, dall'altro rispettare il non detto e le velature, caratteristiche imprescindibili di qualsiasi intimità. Un equilibrio sottile e precario che la sceneggiatura di "Viaggio sola", scritta a tre mani dalla stessa regista insieme alla veterana Francesca Marciano (sceneggiatrice storica di Carlo Verdone) ed a Ivan Cotroneo, decide di trovare nell'atipicità del lavoro di Irene, incaricata di valutare gli standard degli alberghi di lusso che frequenta in incognito, mischiandosi agli altri clienti. "Una vacanza permanente" movimentata dalla meticolosità della donna, puntigliosa ed inflessibile nell'applicare i parametri di una valutazione che gradualmente ma in maniera inesorabile, ecco l'escamotage utilizzato dagli "scrittori, diventa la misura di un modo di essere, debitamente parafrasato nei questionari che Irene deve compilare a completamento delle sue ispezioni. In questo modo l'atteggiamento scostante del personale alberghiero, oppure la mancanza d'attenzione nei confronti dei clienti - come accade alla coppia in viaggio di nozze snobbata dal cameriere per la sua goffaggine - non sono semplicemente incidenti di percorso, dimenticabili quisquilie rispetto alla ricompensa del bene superiore, ma il principio ordinatore rispetto al quale non si può transigere se si vuole evitare di soffrire. Un'esistenza allo specchio, dunque, vissuta come spettatrice di quelle degli altri; non solo dei "compagni di viaggio" occasionali, ma anche di Andrea (Stefano Accorsi) ex amante ed amico sincero al quale accompagnarsi nelle ore di libera uscita dall'eldorado lavorativo; di Silvia, la sorella sposata con un marito introverso e poco espansivo, e delle due nipotine, amate ma anche utili a chiudere il cerchio di una famiglia affettiva che non comporta rinunce in termini di libertà personale. Un mondo perfetto chiamato a confrontarsi con gli imprevisti della vita che si manifesteranno sotto forma di un lutto improvviso che costringerà Irene ed i suoi cari a fare i conti con le responsabilità delle rispettive scelte.
Il terzo film di Maria Sole Tognazzi conferma nel bene e nel male le peculiarità di un'artista alla quale, di certo, non fa difetto il carisma. Figlia di cotanto padre, fattore che dal punto di vista psicologico comporta sempre un dazio da pagare, la Tognazzi nel corso della carriera ha saputo conquistarsi la stima di talentuosi colleghi, generosamente presenti sui set dei suoi film ed anche in questa caso della partita, sia dal punto di vista artistico, con nomi di punta come Margherita Buy e Stefano Accorsi, per non parlare di comprimari del calibro di Lesley Manville (quasi sempre presente nel cinema più recente di Mike Leigh), che tecnico, con Arnaldo Catinari, alla sua seconda collaborazione con la Tognazzi dopo "L'uomo che ama" (2008), qui puntuale nel tratteggiare con luci morbide e sfumature d'orate la vita da "sogno" della nostra protagonista. Tutti a disposizione di un soggetto che neanche tanto sommessamente ed in modo originale per le peculiarità che abbiamo cercato di spiegare, andava ad esplorare un tipo umano, Irene, volutamente fuori dal coro, ed una condizione, quella di single, felicemente alternativa alla normale convivenza; una vicenda lontana dal punto di vista cinematografico dall'amarezza di fondo di due possibili punti di riferimento del film come "Turista per caso" (Accidental Tourist,1988) di Lawrence Kasdan, e "Tra le nuvole" (2009) di Jason Reitman. Ed è proprio la ricerca del tono giusto, mai urlato e privo di scene madri, e l'intercambiabilità tra il realismo dei sentimenti e il pittoresco della "fabula" a rendere interessante, almeno nella prima parte, "Viaggio sola". Purtroppo però, e qui vengono a galla i difetti di sempre, quando si tratta di sviluppare premesse così ben delineate, dando corpo ed anche forma alla progressione emozionale della protagonista, il film inizia a perdere peso. Invece di dare sostanza ai suoi personaggi, Maria Sole Tognazzi sembra svuotarli a favore di un "decor" estetico e visuale che privilegia gli interni lussuosamente arredati delle strutture alberghiere in cui si svolge buona parte del film, e le vedute dei paesaggio, naturale ed urbano, di cui le immagini si lasciano sopraffare. Altrettanto evidente risulta l'empasse narrativo di una vicenda che prima di arrivare al frettoloso lieto fine, e dopo aver perso per strada il personaggio di Andrea inizialmente co protagonista della vicenda e poi dimenticato sul più bello, sembra quasi fermarsi, irretita dagli inserti da "touring club" che ci ragguagliano sulla vita da globetrotter della protagonista. Una sorpresa in negativo che spegne gli entusiasmi e lascia con l'amaro in bocca per le aspettative create dalla folgorante partenza, rimandando spettatori e regista alla prossima occasione. Per Margherita Buy (Irene) in versione Amelie Poulain il plauso di un' interpretazione giocata sulle ali di una leggerezza finalmente depurata dagli eccessi nevrotici.
28/04/2013