Il cinema francese, che tanti anni fa aveva rotto il silenzio sui lager con l'epocale documentario di Resnais "Notte e nebbia", sente ancora il bisogno di confrontarsi con la Shoah. E i distributori italiani accordano fiducia ai cugini d'oltralpe: prossimamente vedremo "Il segreto di Sarah" di Gilles Pasquet-Brenner, per la Giornata della Memoria è uscito invece questo "Vento di primavera". Entrambi rievocano l'episodio dell'ammassamento di tredicimila deportati nel Velodromo d'Inverno (Pinochet ha solo variato sul tema...), e nel caso del film dell'ex giornalista Rose Bosch l'ingresso nel palazzetto è anche una delle due sequenze migliori.
Il biglietto da visita invece non lasciava presagire nulla di buono. Una Parigi presentata - nella primissima inquadratura - con la torre Eiffel accompagnata dalle note di Edith Piaf era quanto di più visto e stravisto ci si potesse aspettare. E tutta la prima parte del film è in bilico tra due estremi, l'estremo basso di dialoghi abbondantemente risaputi, ad esempio sull'ebraicità o meno di personaggi del passato, l'estremo alto della sana confusione delle acque operata dall'autrice, che fa sfilare un prete con la stella di David e sceglie come protagonista una famiglia d'origine tedesca, consegnata agli aguzzini tedeschi dagli stessi francesi.
La particolarità del rastrellamento del velodromo è proprio questa: nessun tedesco si è sporcato le mani, sono stati i francesi a sacrificare i loro connazionali (per scusarsi ufficialmente mezzo secolo dopo, nel 1995, per bocca di Chirac). I nazisti, salvo supervisionare sul territorio di tanto in tanto, hanno solo organizzato la deportazione a tavolino. E se l'entrata in scena di Hitler, con un primo piano smorfioso e sbraitante stile Hynkel presto mutato in un campo lungo che ne immortala la macabra normalità, è la seconda sequenza degna di nota del film, un'altra buona idea è quella di mantenere sempre l'ambientazione in Francia (il treno diretto in Polonia lo vediamo solo allontanarsi), riservandole la trasferta all'estero per pochi importanti centri decisionali del Reich.
Se dunque l'impianto dell'opera è imbastito con criterio e un paio di bei momenti si contano anche, la realizzazione complessiva lascia tuttavia molto a desiderare. Sembra proprio che l'autrice abbia optato per un onesto (per non dire sciatto) film didattico, senza alcuna velleità artistica, che azzera decenni di dibattito sull'opportunità e le modalità di rappresentazione della tragedia e che poteva finire direttamente in televisione. Ha avuto senz'altro ragione, visto l'enorme successo in patria. La notevole affluenza di giovanissimi ne attesta pure la necessità. E chi l'avrebbe mai detto, date le tante opere sul tema. Guai però a esaltare "Vento di primavera" al di là di questi indubbi meriti sociologici.
Breve, semiseria nota a margine: a una celebrità (Jean Reno), vengono affiancati un'attrice dalle attraenti sembianze "ariane" - malgrado le origini in parte ebraiche - (Mélanie Laurent), e un eroico bambino biondo con gli occhi azzurri, il più coraggioso tra i deportati. Il cast accattivante non presuppone una sorta di selezione "razziale" in piccolissima scala?
29/01/2011