Giunto al terzo lungometraggio di finzione, il cammino di Pietro Marcello può cominciare a delinearsi attraverso alcune caratteristiche fondanti. La prima che balza all'occhio è quell'istinto di fuga dal reale che il regista casertano mette in atto ogniqualvolta può dedicarsi alla fiction, abbandonando le radici della sua arte di documentarista. Questa fuga si manifesta in differenti modi ma, fondamentalmente, si può riassumere nel tentativo di andare a mettere in scena un mondo che prescinde dal tempo, dalle epoche storiche, dalle mutazioni della modernità. I luoghi e le ambientazioni del cinema di Marcello si trovano in un non luogo sospeso, a metà fra l'indagine storica e la fiaba, un interstizio temporale ideale in cui collocare personaggi che hanno la pretesa (e l'aspirazione) di diventare universali. Era così in "Bella e perduta", ne trovammo conferma nella Napoli di "Martin Eden", ne rinveniamo un'ulteriore affermazione nella Francia del nord de "Le vele scarlatte".
Anche stavolta Marcello parte da un romanzo a suo modo classico, dello scrittore russo Aleksandr Grin, utilizzandolo però, come aveva fatto con il soggetto originale di Jack London, a suo completo piacimento, prendendo in prestito delle parti e poi concedendosi delle riflessioni altre assolutamente originali e personali. Se la storia romantica del libro era tutta incentrata sull'attesa di un domani travolgente dal punto di vista sentimentale della giovane protagonista, Marcello rivoluziona il punto di vista e imbastisce un racconto per immagini su più piani narrativi che si susseguono nel corso dei minuti, lasciando di volta in volta il posto al livello successivo. La prima parte è tutta incentrata sul protagonista maschile, un uomo di ritorno dalla prima guerra mondiale che trova il suo habitat rurale totalmente stravolto dall'avvento del conflitto. Raphaël Thiéry, artista poliedrico prestato alla recitazione, scelto dall'autore per una fisicità indimenticabile e stordente, soprattutto se confrontata con la delicatezza di lineamenti di una collettività prevalentemente femminile da cui è circondato, interpreta così la figura dell'uomo che perde per cause di forza maggiore il suo posto nel mondo. Sposato, con una casa, un'attività avviata e relativamente soddisfatto, parte per il fronte e perde tutto al suo ritorno. Qui si innesta il secondo microfilm, quello del rapporto tutto da costruire con la piccola figlia, partorita dalla moglie ormai deceduta e ora rimasta orfana. Con il sospetto che possa non essere davvero sua figlia, ma frutto di una violenza subita dall'amata consorte durante la sua lontananza, Raphaël affronta anche questo compito con lo spirito che lo ha contraddistinto sul resto: abnegazione, dedizione, una compassionevole consapevolezza. E infine, in un ardito passaggio di testimone narrativo, l'ultima parte del film si concentra sulle vicissitudini della giovane donna ormai cresciuta; Juliette, fra lutti e passioni travolgenti, affronta una presa di coscienza gradualmente sempre più concreta sulle svolte da dare alla propria esistenza terrena, fino all'immedesimarsi con i versi impregnati di libertà ed emancipazione dell'anarchica Louise Michel citata nel finale.
Nella semplicità dell'intreccio, che tradisce un'ambizione realizzativa sicuramente inferiore rispetto all'opera precedente della sua filmografia, "Le vele scarlatte" conferma la maestria di Marcello e il dono della sua sintesi dialettica. Per ciascuno dei segmenti narrativi di cui si compone, il lungometraggio ha una encomiabile stratificazione di temi e riflessioni, nascoste nelle pieghe di un'inquadratura, di una battuta o di un inserto musicale. E se il personaggio di Raphaël va a costituire un interessante parallelismo con la natura espressiva del regista (le parole a volte risultano superflue e, per quanto sia urgente esprimere un concetto, il lavoro manuale può arrivare prima all'obiettivo), è sulla maturazione di Juliette che Marcello costruisce una sorta di indagine a più piani. Lontano da pulsioni femministe a buon mercato, il cineasta campano si concentra invece sul concetto di autodeterminazione, seguendo Juliette in un viaggio a tappe forzate verso l'acquisizione di una vera conoscenza di sé. Che poi ci sia la sottolineatura di un mondo maschile che si sente messo in pericolo dall'indipendenza delle scelte di una ragazza, questo è solo un elemento conseguente. Ma in fin dei conti, si torna a quanto scritto in partenza: i mondi di Marcello inseguono l'ambientazione della fiaba, si muovono in fuga dal mondo reale e l'aspirazione più grande è quella di prescindere dal luogo e dal tempo. Nonostante ciò, va detto, l'abilità del regista come Metteur en scène non tradisce lo sguardo su ciò che circonda gli esseri umani che animano le sue storie e l'immagine è sempre funzionale a restituire un'impressione nostalgica di un luogo, nonostante tutto, profondamente realistico. Prescindere dalla modernità si diceva, ma senza evitarla o rinnegarla. Anzi, proprio come in "Martin Eden", anche ne "Le vele scarlatte" il progresso è un elemento che ritorna e che viene raccontato in chiave conflittuale; le nuove conquiste tecniche, infatti, sono il filo rosso che rompe continuamente gli equilibri della vita agreste, costringendo uomini e donne a reinventarsi con costanza.
In poche righe abbiamo evidenziato una moltitudine di elementi ricorrenti lungo una (finora) breve filmografia. Ne ricaviamo l'idea di un autore in costante maturazione che, anche quando realizza opere di apparente semplicità come quest'ultima, pezzo per pezzo sta strutturando in modo coraggioso e autorevole la sua arte.
cast:
Juliette Jouan, Raphaël Thiéry, Noemie Lvovsky, Louis Garrel, Yolande Moreau
regia:
Pietro Marcello
distribuzione:
01 Distribution
durata:
99'
produzione:
CG Cinéma, Avventurosa, Rai Cinema, Match Factory Productions, ARTE France Cinéma, Les Films du Losa
sceneggiatura:
Pietro Marcello, Maurizio Braucci, Maud Ameline
fotografia:
Marco Graziaplena
scenografie:
Christian Marti
montaggio:
Carole Le Page, Andrea Maguolo
costumi:
Pascaline Chavanne
musiche:
Gabriel Yared