Certo non è strano che uno che abita in una villa con giardino, in un piccolo centro della provincia francese, non possegga le chiavi di cancelli e portoni della propria casa.
Non è strano se chi ci abita è un uomo anziano, un pensionato che conduce una vita tranquilla, senza vizi, senza amici. E non è strano che un uomo così ne incontri un altro che è quasi il suo opposto, che capita in paese non proprio per caso.
Milan (Johnny Hallyday) arriva col treno e con un mal di testa che, rimasto a corto di aspirine proprio mentre tutti i negozi tirano giù le serrande, lo conduce in una farmacia dove anche Manesquier (l'anziano pensionato interpretato da Jean Rochefort) sta comprando delle medicine. E per errore del farmacista, che gli vende delle compresse effervescenti, è quasi costretto ad accettare l'invito dell'altro che gli offre un bicchiere d'acqua nella sua casa poco distante.
Sembra una casualità, come quando, poco dopo, Milan trova l'albergo dove avrebbe dovuto alloggiare chiuso. L'unica soluzione, quindi, è tornare dall'anziano signore senza chiavi di casa e chiedergli ospitalità fino al sabato.
Se uno è solitario per scelta e di poche parole, l'altro soffre la solitudine e ha bisogno di parole e spiegazioni.
La convivenza per due uomini abituati solo ai propri pensieri è tutt'altro che scontata e non può che sollevare ognuno dei due dalle abitudini e convinzioni di una vita intera.
Leconte gestisce le attese e i lunghi tempi narrativi con un ritmo perfetto, il tutto scandito da un appuntamento di entrambi i protagonisti, che entrambi non possono sfuggire e che ad entrambi cambierà la vita, nel bene o nel male.
La freddezza apparente di Milan è in contrasto con la calma piatta ma accogliente della casa di Manesquier, e i toni blu della fotografia ce lo ricordano ogni volta che Milan esce dalla villa e progetta, insieme a vecchi colleghi, una rapina nella banca del paese e che inghiotte lo stesso Manesquier quando insieme diventano complici fuori dalla culla domestica e quando entrambi si avviano verso una crescita interiore reciproca.
Milan fa provare l'ebbrezza di sparare a Manesquier e, di rimando, lui gli insegna a tenere sempre uno spazzolino di scorta o a portare pantofole in casa. La casa ricca di tappeti, quadri, divani e fotografie di un'infanzia felice che poi, a detta dello stesso Manesquier, s'è trasformata in una vita cristallizzata, in cui lui ha mantenuto la stessa posa per anni. La sua passione per la poesia, la musica e la sua professione (Manesquier era professore di francese), lo rendono un uomo sensibile, senza pregiudizi, capace di accogliere e chiedere aiuto. Manesquier mostra i suoi bisogni, li maschera rendendoli ancor più evidenti nella sua goffaggine, e colpiscono persino un duro come Milan.
È uno scambio continuo e costante, in cui chi trascorreva giornate identiche lasciandole scivolare via passando tutto il tempo a rimpiangere e a cercare il coraggio per cambiare, finalmente trova quel po' di coraggio e, anche se forse è tardi per stravolgersi, almeno può dire di averci provato e conservarne il ricordo.
Così il gran giorno arriva insieme alla paura di non riuscire a superarlo, la rapina e l'operazione al cuore di Manesquier; così come dall'inizio, nessuno si lascia andare, le parole rimangono contratte ma fin troppo chiare e prendono vita negli occhi e nei gesti di ognuno per l'altro.
La regia originale di Leconte sostiene e arricchisce la sceneggiatura di Claude Klotz, curatissima e piena di spunti, che riapre di tanto in tanto durante la narrazione.
Leconte alterna momenti più lenti, e sempre essenziali, in cui i brillanti dialoghi trovano il respiro che meritano, considerando che quasi ogni battuta contiene temi e concetti su cui si potrebbe riflettere a lungo; gli interni sono gestiti proprio con questa consapevolezza, le conversazioni fra Milan e Manesquier sono inserite in un contesto di tranquillità, tra luci soffuse e penombre nelle atmosfere placide e pacate della casa. I toni intimi risaltano, evidenziati anche dall'attenzione per i particolari e una macchina da presa quasi sempre stretta sui protagonisti. Il mondo fuori è più incostante, le inquadrature rimangono scarne e i piani si allargano mostrando ambienti se non ostili quantomeno estranei, uno sfondo sul fuoco sempre presente sullo sviluppo del rapporto tra i personaggi.
La fotografia segue la stessa logica e oscilla tra interni neutri e propri di Manesquier e i toni freddi, blu, di Milan. Entrambi assumono le caratteristiche dell'altro quando l'altro "conduce" nella propria esperienza, i colori di Milan diventano quelli di Manesquier se è il primo a guidare e viceversa.
Le interpretazioni sono il giusto compenso per una grande storia, sia Rochefort che Hallyday riescono a centrare i caratteri aggiungendogli un fascino fondamentale con una recitazione matura.
Se il tema è quanto si può mettere in gioco se stessi e potersi fidare di qualcuno, allora sia Milan (che non ha mai fallito) che Manesquier (uno che è abituato alle sconfitte), raggiungono il loro vero obiettivo nonostante gli eventi.
Uno scambio reale che viaggia e, fino alla fine, si incontra per poi passare oltre, in direzioni opposte accomunate da quell'attimo condiviso tanto intenso e prezioso.
28/08/2008