La biopic è uno dei sottogeneri cinematografici da sempre più popolari. Gli spettatori infatti amano vedere film che raccontano le vite di uomini e donne illustri e i produttori volentieri li accontentano, ben sapendo che il loro investimento sarà ripagato. Non voglio assolutamente mancare di rispetto agli appassionati del genere ma anche loro saranno d'accordo nel dire che sfortunatamente spesso i risultati sono discutibili. Se è vero che il cinema biografico sceglie sempre come soggetto un personaggio straordinario, capita spesso che la storia venga raccontata con film dall'impostazione ordinaria che peraltro non riescono a comunicare efficacemente in cosa consista l'unicità del loro protagonista. "L'uomo che vide l'infinito", cinebiografia di Srinivasa Ramanujan, pioniere indiano della matematica, al punto che (non senza resistenze) negli anni della prima guerra mondiale gli furono aperte le porte di Cambridge, purtroppo non fa eccezione.
Diretto e sceneggiato dall'inglese Matt Brown (quasi esordiente, se si esclude "Ropewalk" di una quindicina di anni fa), il film, nonostante la produzione si sia presa i suoi tempi (si dice che ci siano voluti dieci anni per realizzare il progetto), assicurandosi anche la collaborazione di matematici affermati come Ken Ono e Manjul Bhargava, risulta quanto mai convenzionale e poco appassionante, nonostante la Società Matematica Americana si sia espressa in suo favore. Non è possibile fare confronti col film indiano in lingua tamil uscito nel 2014 e intitolato semplicemente "Ramanujan" (lo ha diretto Gnana Rajasekaran, cineasta premiato in patria due volte col National Film Award) comunque chi ha apprezzato di recente titoli come "The Imitation Game" o "La teoria del tutto" probabilmente uscirà dalla sala non particolarmente soddisfatto.
Tratto dall'omonimo libro di Robert Kanigel, il film inizia con Jeremy Irons nei panni del professor Hardy, mentore di Ramanujan, intento a ricordare il protagonista appena deceduto (poco più che trentenne, il matematico morì dopo essere tornato in India per una forma di tubercolosi contratta in Inghilterra). Sposato da poco, praticamente nullatenente, il giovane protagonista (cui presta il volto Dev Patel, l'attore inglese che da "The Millionaire" al prossimo "Lion" è diventato la prima scelta per il ruolo dell'indiano in produzioni occidentali) cerca un lavoro ma soprattutto la possibilità di fare conoscere a qualcuno le sue teorie matematiche, assolutamente all'avanguardia nonostante lui non abbia alle spalle un'istruzione di tipo tradizionale. Verrà assunto in un ufficio e messo in contatto con gli insegnanti del Trinity College i quali lo inviteranno ad andare a frequentare il famoso ateneo. Per Ramanujan significa allontanarsi dall'amata e paziente moglie Janaki (l'attrice newyorkese Devika Bhise, molto graziosa anche se non veramente debuttante come suggeriscono i titoli di testa) ma la passione per i numeri è troppo forte per resistere. Prevedibilmente (anche perchè tutto in questo film è prevedibile...) l'incontro col mondo accademico inglese non sarà dei più semplici. A parte che Ramanujan è l'unico vegetariano, gli insegnanti non sono così felici di accogliere tra le loro file un quasi autodidatta che viene da una colonia. Il protagonista è tra l'altro convinto di poter già pubblicare i suoi originali teoremi matematici ma il corpo docente si dimostra piuttosto restio. Le intuizioni di Ramanujan, per quanto geniali, sono da dimostrare e questo al giovane pare una perdita di tempo insensata. Qualche buon consiglio a riguardo viene dispensato da Jeremy Northam nei panni di Bertrand Russell e dal bravo Toby Jones, nei panni del bonario Littlewood, fra i docenti, quello più amichevole nei confronti di Ramanujan, pur non comprendendo interamente la portata delle sue scoperte. Lo scoppio del conflitto mondiale implica anche un peggioramento della vita per l'indiano tra malcelati atteggiamenti razzisti e razionamenti di verdure ma anche in questo caso niente che risulti particolarmente sorprendente o emozionante.
Il film ha il suo cuore nel rapporto fra il protagonista e il professor Hardy, tipico cattedratico freddo, razionale e misantropo, del quale Ramanujan, col suo approccio quasi poetico e spirituale ai numeri, rappresenta un perfetto complemento. A inizio film Hardy afferma che l'incontro col giovane anticonformista è stato l'aspetto più romantico della sua vita; ma dal film questo non si deduce affatto, perchè se l'ambizione era quella di realizzare un nuovo "A Beautiful Mind" si sarebbe dovuto scegliere un approccio meno banale e ricorrere, oltre alla consulenza dei matematici, ad uno sceneggiatore più esperto.
Malgrado alla fotografia ci sia Larry Smith, che illuminò l'ultimo capolavoro di Kubrick, "Eyes Wide Shut", la messa in scena è anch'essa alquanto scontata e i piani stretti che caratterizzano la regia sottoutilizzano le belle location e neutralizzano anche la sequenza potenzialmente più suggestiva dal punto di vista visivo (quella in cui uno zeppelin tedesco sorvola il cielo di Cambridge per sgangiare delle bombe sulla cittadina).
12/06/2016