I film ambientati in alcune "zone calde" del globo rischiano sempre molto. Sia che a dirigerli siano registi "indigeni", sia che si tratti di lavori di autori affermati del cosiddetto mondo occidentale. E il discorso di una certa rischiosità nel mettere in scena piccole o grandi storie legate alle tradizioni di un Paese, come potrebbe essere l'Algeria, vale anche per i cineasti "ibridi", come il franco-algerino Rachid Bouchareb. Lui, che poco tempo fa ci aveva regalato un convincente ritratto umano sulla paura della perdita delle persone amate, com'era stato "London River", registra un deciso passo indietro con la sua ultima pellicola, "Uomini senza legge", capace incomprensibilmente di far molto rumore lo scorso anno nel concorso principale di Cannes, oltre che di strappare una nomination agli ultimi Oscar americani.
La storia parla di tre fratelli, sballottati in giro per il mondo dopo aver perso la loro casa nella madrepatria Algeria, che si riuniscono a Parigi per partecipare attivamente all'imminente rivoluzione dello Stato maghrebino contro il dominio coloniale francese. Da qui, si parte con una sorta di thriller politico e sul filone dei gangster-movie che ricorda da lontano il capolavoro di Steven Spielberg "Munich". Il trucco sarebbe semplice: utilizzare una "commistione intelligente", chiamiamola così. Da una parte un tema di impegno civile e di rievocazione storica di un momento fondamentale nella storia di un intero Paese, dall'altra l'espediente dato da un registro narrativo moderno, facilmente fruibile anche per lo spettatore che poco sa delle vicende reali, giocato su scene d'azione e su uno stile agitato e carico di tensione.
Ma Bouchareb si avventura, evidentemente, in un campo che non è il suo. Anzi, in ben due campi che non gli appartengono. Non funziona né la sceneggiatura con cui affronta l'argomento così impegnativo dell'indipendenza algerina, né la scelta di dare all'opera un'impronta da film di genere. In primo luogo, infatti, "Uomini senza legge" cade nel frequentissimo equivoco di molte pellicole di ambientazione nordafricana o mediorientale: sembra una sorta di cartolina, di pagina estrapolata da un sussidiario della Storia, usa una narrazione che va avanti per simbolismi stucchevoli, troppo palesi (il culmine viene raggiunto nel momento in cui un soldato strappa a un manifestante la bandiera algerina, con tanto di lento indugiare sui volti dilaniati dal dolore interiore).
E in secondo luogo, Bouchareb non è certo Spielberg (lasciamo poi da parte il paragone addirittura avanzato da qualcuno con "La battaglia di Algeri" di Gillo Pontecorvo). E il suo thriller per le strade di Parigi prima e di Algeri poi risulta imbarazzante proprio nei momenti in cui dovrebbe trovare l'apice del suo pathos emotivo, rasentando in alcune scene di lotta e di scontri l'impalpabilità di una regia troppo televisiva.
cast:
Jamel Debbouze, Roschdy Zem, Sami Bouajila, Samir Guesmi, Bernard Blancan
regia:
Rachid Bouchareb
titolo originale:
Hors-la-loi
distribuzione:
Eagle Pictures
durata:
137'
produzione:
Jean Bréhat
sceneggiatura:
Rachid Bouchareb, Olivier Lorelle
fotografia:
Christophe Beaucarne
scenografie:
Taïeb Jallouli
montaggio:
Yannick Kergoat
musiche:
Armand Amar