"Povero Pyotr, si è innamorato dell’immagine di una morta che non hai conosciuto"
"Ma almeno si è innamorato"
Dal film
"In Svizzera, hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di democrazia e pace, e cos'hanno prodotto? Gli orologi a cucù!". Sembrerà molto scontato partire dalla famosa sentenza proferita da Orson Welles ne "Il terzo uomo" per parlare di un film elvetico. Lo sembrerà meno se l’opera in questione racconta di una fabbrica di orologi e della proverbiale precisione svizzera. Elementi che metterà poi in scacco per compiere riflessioni sulla Storia e sulle stesse immagini.
"Unrest", presentato al Festival di Berlino e di Torino del 2022, è il nuovo lungometraggio del regista Cyril Schäublin, da poco disponibile in Italia su MUBI. Come nel precedente "Those Who Are Fine" (2017), il cineasta si focalizza sul mondo del lavoro, questa volta però tralasciando la contemporaneità per parlare del passato, a partire da dati autobiografici. Il film è ambientato alla fine dell’800 in un piccolo paesino elvetico, Saint-Imier, che ruota attorno alla sua fabbrica di orologi. Siamo in un cruciale periodo di passaggio, all’alba del capitalismo e dell’organizzazione taylorista delle industrie, ma anche dei movimenti anarchico - socialisti e delle rivendicazioni sindacali. La storia inizia con l’arrivo nella città del cartografo russo Pyotr Kropotkin, di fede anarchica, intenzionato a realizzare una mappa del luogo. Mentre lì fervono i preparativi per l’elezione del Gran Consiglio del cantone di Berna e quelli per la commemorazione della battaglia di Morat (celebre vittoria nel 1476 degli svizzeri contro Carlo I di Borgogna), i lavoratori, tra cui la giovane Josephine, cominciano a riconsiderare i propri diritti.
Per raccontare questa vicenda, il regista trae spunto da vicende sia private che storiche: sua madre e sua nonna lavoravano proprio in una fabbrica di orologi e lo stesso personaggio di Josephine nasce dalle testimonianze di quest’ultime. Così come è veramente esistito un Pyotr Kropotkin, il cui libro "Memorie di un rivoluzionario", che parla del periodo trascorso in Svizzera, dove divenne anarchico, è stato una fonte per la sceneggiatura del film [1]. Al centro di "Unrest" c’è dunque in primo luogo l’accurato ritratto di un microcosmo lavorativo, dominato da rigide regole e scansione temporale. Il titolo fa riferimento al bilanciare dell’orologio, il suo cuore pulsante, ma anche alla condizione lavorativa degli stessi operai. Schäublin mostra con precisi dettagli il processo di costruzione di questo oggetto, evidenziando la perizia e l’attenzione che essi pongono nella loro attività, durante la quale sembrano non distrarsi mai.
In questo contesto, emergono però fin da subito aspetti dissonanti. Gli operai sono spinti a ricercare sempre la massima efficienza e ottimizzazione del tempo, venendo controllati a vista. Così, mentre il film ci mostra una sessione della loro attività, uno stacco improvviso ci svela una donna che di nascosto e fugacemente beve da una fiaschetta, come unico sollievo possibile. Le dinamiche competitive che vengono messe in atto sembrano quelle di "Tutta la vita davanti" di Paolo Virzì (e non a caso "Those Who Are Fine" era ambientato in un call center), compresi i riconoscimenti a chi fa più veloce. Ad un certo punto, viene detto che chi va in prigione perché non ha pagato le tasse è costretto anche lì a continuare a lavorare. Il modo in cui la scena è presentata innesta nel film una tinta grottesca che porta la storia quasi in una dimensione surreale, per come il regista ritrae con sagacia le consuetudini vigenti. Quest’approccio riguarda anche il movimento anarchico: quando si organizza la tombola per finanziare la causa oltreoceano, un premio sono proprio le sveglie che gli stessi operai costruiscono. Così come quando in fabbrica alcuni rappresentanti leggono un manifesto, le atmosfere sono sempre meste e il regista si concentra sui reacting shot dei lavoratori che ascoltano poco convinti o catturati dalle loro parole: sono propri i loro volti a fare spesso da contraltare beffardo.
La rivoluzione che racconta Schäublin non avviene infatti tanto a livello politico, quanto a livello di immagini. Alla fine dell’800 la fotografia gioca un ruolo sempre più importante nella società e il film mostra un servizio che si sta realizzando per promuovere l’azienda. Mentre un fotografo mette in posa i propri soggetti e si prepara allo scatto, spesso qualcuno entra nel campo dell’inquadratura rovinando tutto. Un disturbo molto simile a quella che compie il regista. Il ritmo di "Unrest" sembra a prima vista perfettamente cadenzato e regolare, aderendo a quello che vivono gli stessi personaggi: ma quello che vediamo stona con quest’orizzonte. La maggior parte delle inquadrature sono costruite in un campo lungo giocato sulla profondità di campo, che spesso mette in primo piano un elemento naturale (ad esempio, un albero), lasciando ai margini le figure umane, che appaiono così rimpicciolite. Altre volte, sono divise in più sezioni con diversi gruppi separati di persone, lasciando che lo sguardo dello spettatore non sappia dove volgere l’attenzione e togliendo centralità a chi in quel momento sta parlando. In alcune, inoltre, risultano tagliate le scritte sulle insegne degli uffici o le teste dei personaggi. Così, emerge sempre un elemento di rottura del perfetto quadro adiacente alla più convenzionale idea di Svizzera, quella che gli stessi industriali e politici vorrebbero trasmettere e che l’irruzione del movimento anarchico prova a mettere in crisi.
Questo processo raggiunge il culmine nella scena finale, in cui Josephine e Pyotr si ritrovano da soli in un bosco mentre si offrono volontari per una misurazione del tempo di percorrenza del luogo. Se prima la fotografia giocava sempre su tonalità plumbee, qui la forte luce del sole, che compare all’improvviso, non prevista, rischiara le figure con palese connotazione irrealistica. Sentiamo la ragazza spiegare con un lungo e tedioso discorso il suo lavoro, e poi nella scena successiva vediamo in primo piano un orologio che si ferma. Segue un movimento di macchina (il primo e l’unico di tutto il film) che nel silenzio assoluto mostra le fronde degli alberi in un’immagine sfuocata (quando prima quest'ultima era sempre ben definita) lasciando intendere che tra i due sia nato qualcosa. In "Le Départ" di Jerzy Skolimowski, la storia finiva e la sua fonte stessa del film, la pellicola, bruciava, quando il protagonista (Jean-Pierre Léaud) smetteva di parlare della sua passione, le automobili, per concentrarsi finalmente sulla ragazza che lo accompagnava. Così accade in "Unrest": i dialoghi si interrompono e il tempo del lavoro, che dava la misura al film stesso, si ferma, per dare spazio a un altro tempo, che segue altri ritmi.
[1] cfr intervista per MUBI
cast:
Clara Gostynski, Valentin Merz, Li Tavor, Monika Stalder
regia:
Cyril Schäublin
titolo originale:
Unrueh
distribuzione:
MUBI
durata:
93'
produzione:
Thomas Lüth, Michela Pini, Linda Vogel
sceneggiatura:
Cyril Schäublin
fotografia:
Silvan Hillmann
montaggio:
Cyril Schäublin
costumi:
Linda Harper
musiche:
Li Tavor