Come uno
swing il cinema di Rocco Papaleo sembra nascere da un bisogno che va oltre la coerenza dell'impianto, procedendo per accumulazioni successive, quasi sempre scaturire da una sensazione o da un particolare stato d'animo. Che si tratti di raggiungere un luogo geografico come accadeva al gruppo d'amici in viaggio verso il festival in cui devono suonare ("Basilicata Coast to Coat", 2010) oppure di ricostruire uno spazio esistenziale ormai logoro nel quale si trova accomunata l'umanità di questo "Una piccola impresa meridionale" a prevalere non è mai la precisione dei fatti, o la complessità dell'intreccio bensì il
mood che Papaleo riesce a trasmettere attraverso una serie di variazioni che vivono e prendono il ritmo da un motivo musicale. Un'ispirazione che nel film d'esordio si armonizzava con la necessità di costruire lo spartito autobiografico dei protagonisti, tutti quanti, nessuno escluso, appassionati di note e parole. Di tutt'altra fattura invece quella che scorre nelle vene della storia in questione, organizzata attorno al faro di proprietà della famiglia di Costantino, prete che ha rinunciato alla tonaca per un illusione d'amore e ora relegato per motivi di opportunità in quell'insolito eremo. Fatiscente ed abbandonato il vecchio rudere diventa il posto ideale in cui confessare e smaltire delusioni e fallimenti che altrove non sarebbero accettati. Per metterlo a posto ci vorrà la fantasia e lo spirito di sacrificio di una tribù di personaggi eccentrici, stravaganti ed un pò sgangherati a cui Costantino darà asilo nel corso del suo soggiorno. La ricostruzione materiale del manufatto finira' per coincidere con quella interiore della simpatica manovalanza.
Se lo spunto iniziale, quello che pone i protagonisti nella condizione di mettersi in discussione attraverso la convivenza forzata fornisce da solo il carico di suggestioni e di riferimenti alla nostra contemporaneità - la casa da ristrutturare e l'impegno di soddisfare collettivamente quella necessità sembra da una parte la metafora di un paese in rovina ed allo stesso tempo l'indicazione di una possibile via d'uscita- "Una piccola impresa meridionale" sulla scia del film precedente continua ad essere la rappresentazione di un mondo personale ed insieme ideale che risponde quasi in tutto al gusto ed alle passioni di chi ne è l'autore. Una piccola anarchia conquistata dopo anni di gavetta e ruoli laterali che si riversa nell'assoluto protagonismo del regista e nella libertà creativa con cui mette insieme il suo
puzzle esistenziale: dalla musica
Jazz, avamposto di una passione che avevamo imparato a conoscere, e che ritorna struggente ma anche buffa nel personaggio di Arturo il cognato di Costantino (Riccardo Scamarcio in un ruolo che si fa beffa della icona di
sex symbol) marito abbandonato e musicista frustato da ambizioni che non si sono mai realizzate, alla meridionalità più viscerale, espressa nelle dinamiche familiari dominate dalla presenza di genitori rispettati ed un pò temuti, ma anche nell'importanza del decoro sociale che fa dire a mamma Stella "il paese non deve sapere" costringendo Costantino a trasferirsi nel faro per salvaguardare l'onore famigliare.
Ma c'è soprattutto l'attenzione per le fragilità umane che un mestiere come quello dell'attore impara a riconoscere, e che Papaleo diluisce nei caratteri dei personaggi, persino in quello della disinibita Magnolia (Barbora Bobulova in versione nude look), pragmatica e disillusa ma alla fine vinta dalle ragioni del cuore. Una miscela a base di
sound, poesia e buon umore che funziona fino a quando Papaleo, forse per dimostrare la sua bravura, o per la voglia di superarsi decide di contaminare la propria ispirazione con temi da dibattito come quello sulla religiosità che il personaggio di Costantino con i suoi comportamenti eterodossi ma caritatevoli esorta a essere meno formale e più sensibile ai bisogni dei fedeli, e sul diritto di amare al di là di ogni discriminazione, come dimostrano le vicissitudini che incontrerà Rosa Maria nel corso del suo percorso sentimentale. Una nobiltà d'animo che pesa sul film obbligandolo a rispettare certe tappe obbligatorie (la scena del matrimonio con gli invitati che abbandonano la cerimonia disgustati è forse l'apice di questa tendenza) che portano il film nell'alveo di quel conformismo corretto ma di maniera da cui invece Papaleo voleva stare alla larga.
Incapace di tenere insieme la sua doppia natura, "Una piccola impresa meridionale" perde ritmo e compattezza, spezzato nella seconda parte da inserti un po casuali e realizzati all'insegna di un buonismo un pò facile, com'è quello relativo all'istruzione scolastica della figlia degli operai che lavorano alla manutenzione del faro, oppure della sequenza che ci "regala" la riconoscenza di Magnolia nei confronti di chi l'ha aiutata a superare un momento difficile. E se la confezione è diventata più elegante nelle carrellate e nei dolly che inglobano i personaggi nella magnificenza dello scenario naturale, e nonostante il metacinema che si affaccia in maniera circolare, all'inizio ed alla fine, attraverso la soggettiva di occhi finalmente liberi di vedere - un allusione al potere catartico e rivelatore del mezzo cinematografico- a mancare è la ruvidità umorale e sghemba dello stesso Papaleo, imbrigliata dalle portate di un menù troppo ricco. Nel tabellino delle cose riuscite la chimica di interpreti perfettamente amalgamati e un intrattenimento certamente
cool. Non poco per una commedia italiana.
21/10/2013