I drammi, le storie di esseri umani sottomessi dagli artigli del potere, sono per il Sud America pagine di Storia che hanno la necessità di essere tramandate perché taciute nel mentre e con molta fatica tirate fuori dai cassetti di casa propria.
Le pagine cinematografiche riguardanti il Golpe cileno del 1973 e la Guerra sporca argentina hanno trovato nel corso degli anni una voce non sufficientemente chiara agli occhi del mondo occidentale. L’azione criminale delle Giunte militari non potrà forse mai essere passata al dettaglio, affossata insieme ai corpi dei desaparecidos. Una delle grandi tragedie del 900 che negli ultimi venti anni sovente è stata raccontata al cinema, con esiti ovviamente di discontinua riuscita espressiva, ma il più delle volte dignitosi per un’illimitata ricognizione storica che in un’ottica didattica si spera capace di arricchire morali e coscienze delle odierne generazioni.
Se atroci misfatti di Argentina e Cile sono, come si diceva, stati restituiti sul grande schermo e se per il futuro è possibile prevedere tentativi filmici di scavare nella presente dittatura venezualana di Nicolás Maduro, notizie, indagini ed analisi del “piccolo” territorio dell’Uruguay risultano ancora scarse: al netto di una gloriosa storia calcistica estranei paiono giungere nella vecchia Europa umori, storie e Storia di questo stato dell’America meridionale.
"Una notte di 12 anni" di Álvaro Brechner ricostruisce e sintetizza la prigionia (1973-1984) di tre dei nove nove Tupamaros allontanati dalle loro celle e condotti nell’ambito di una segreta operazione militare attraverso caserme isolate. Non semplicemente privati di ciò che comunemente definiamo libertà, ma sottomessi a torture di carattere psicologico, tentantivi di modificare l’uomo libero pensatore in macchina assoggettata al potere dittatoriale.
Il film si propone come esempio di cinema civile chiaro e senza fronzoli. Privilegia gli interni, gli spazi angusti con l’intento di restituire l’oppressione via via più insostenibile da parte delle vittime.
Oltre il più che lodevole intento di far luce su questa incredibile e vergognosa vicenda, ad emergere da questa ricostruzione dei fatti è la personalità o – ancor meglio – la dignità di Josè, di Mauricio, di Eleuterio, uomini.
La pellicola delinea un tragitto alla fine del quale la violenza psicofisica riesce a non essere sufficiente per disumanizzare l’uomo. Un processo che Brechner propone senza sottotesti sulle capacità e i limiti del corpo come “scudo politico” (vedi "Hunger" di Steve McQueen) né può ambire alla secca e lacerante complessità di un film come "Garage Olimpo" di Marco Bechis (sui drammi dei desaparecidos argentini). In modo piuttosto convenzionale, allora sfoggia per ciascun personaggio flashback che raccontano la cattura degli stessi, guerriglieri schiacciati politicamente dal regime dittatoriale. E si affida ad una confezione dal respiro internazionale, per la quale sembra non essere passata invano la lezione del thriller politico statunitense (improprio qualche scivolone di montaggio effettistico durante i momenti delle torture) con l’intento di generare un’empatia istantanea tra i personaggi che mette al centro della storia e gli spettatori uruguagi e non.
C’è, dunque, nel film un ideale posizionamento del “dentro”: sul corpo e nella mente, dentro gli spazi e lontano della luce del sole, dentro il buio dove la speranza non c’è o comunque va cercata. Ma a tal proposito è prima suggerita e poi evidenziata l’ulteriore possibilità, la salvezza, fuori anche le ideologie politiche e consegnata alla forza e alla resistenza dell’essere umano. Emerge una vita al di là della prigionia (i parenti dei prigionieri restano figure ricorrenti) e quando nel finale Eleuterio segna il suo liberatorio gol l’immaginario sa trovare concretezza. Una scelta visiva forse un po’ facile (come l’utilizzo della celeberrima "Sound of Silence" di Simon & Garfunkel reinterpretata da Sílvia Pérez Cruz), ma che può restituire un’emozione sentita, non farlocca.
Ad avvalorare la storia del film non soltanto la tenacia capace di giungere alla sopravvivenza ma la ri-generazione che ha portato una tremenda esperienza al servizio di un popolo: colpisce sapere che uno dei tre prigionieri è quel Josè Mujica, futuro capo dello stato e senatore della repubblica dell’Uruguay.
Se labili risultano essere le definizioni di opera "utile" o "necessaria", un film come "Una notte di 12 anni" può superare i proprio limiti didascalici e farsi "giusto".
cast:
Antonio de la Torre, Chino Darín, Alfonso Tort, Soledad Villamil, Sílvia Pérez Cruz, César Troncoso, Nidia Telles, Mirella Pascual
regia:
Álvaro Brechner
distribuzione:
Bim Distribuzione, Movies Inspired
durata:
123'
sceneggiatura:
Álvaro Brechner
fotografia:
Carlos Catalán
scenografie:
Laura Musso
montaggio:
Irene Blecua, Nacho Ruiz Capillas
costumi:
Alejandra Rosasco
musiche:
Federico Jusid, Sílvia Pérez Cruz