La provincia americana sembra essere ferma a cento anni fa o forse più. Gli alberi indossano radici secolari, il grigio cielo è immobile, nell’insidioso terreno scorrono i passi di una umanità che muta i corpi, ma la cui primordiale violenza è ben costipata nell’animo di chi vede ma non sa parlare. La diciassettenne Ree Dolly è arrabbiata e combatte, ma il suo percorso è sviluppato come un sussurro soffocato.
La scomparsa del padre segue le fattezze scheletriche che l’uomo aveva già assunto da anni a questa parte: in carcere, aveva lasciato la ragazza con una madre catatonica e due fratellini da accudire, da crescere. L’irruzione di un uomo che non c’è più, e che forse non c’è mai stato, scuote la coscienza di Ree, che matura attraverso un episodio che nasce e vive nel passato. Ciò che accade nel film è la conseguenza dei fantasmi che agitano le acque di un lago dimenticato da Dio e dagli uomini.
La determinazione della protagonista è anche un atto di dignità nei confronti di un ambiente dove il maschilismo schiaccia il ruolo della donna, anche se la ragazza non combatte in nome di un ideale ma semplicemente per la sopravvivenza. Dice chiaramente che ha bisogno del peso dei fratelli sulle spalle. Solo in questo modo la giovinezza può crescere: la solidarietà familiare getta così i propri semi per far rinascere una intera cittadina periferica. Una idea che forse resta utopica, ma che getta un ponte nell'assopita frattura tra i grandi centri statunitensi e i luoghi meno popolati del territorio americano. In questo, modo, comunque, non devono per forza essere intaccate le tradizioni di un popolo, ma il suono del banjo che si ode dovrebbe produrre note di speranza e tenacia piuttosto che echi da un regno oscuro. E, grazie alla sua determinazione, la giovane Ree rende questa possibilità verosimile.
Tratto dall’omonimo, evocativo romanzo (2007) di David Woodrell, ambientato in una zona montuosa del Missouri, l’altopiano d’Ozark (dove tra l’altro lo scrittore vive insieme alla moglie), “Winter’s Bone” (“Errore invernale” o “Il denaro dell'inverno” ) è stato girato sui luoghi naturali, con camere digitali Red, che riescono a ottenere al contempo antispettacolarità e un'adesione che obbedisce al richiesto distacco della materia. In un territorio ostile e poco invitante, ruvido e urticante, la regista Debra Granik, al suo secondo lungometraggio, non addolcisce mai la pillola, nemmeno quando si apre alla speranza: se il percorso di Ree arriva a un capolinea che dovrà essere innanzitutto un punto di partenza, per sé, per il fratello, per la sorella, la pentola nella quale ribollono le ossa e la verità, continuerà la propria evaporazione, gettando fumo negli occhi alla comunità silenziosa e repressa, quindi spietata.
Da applausi l’interpretazione della giovane Jennifer Lawrence, che dona al suo personaggio, innocente e determinata anima costretta a crescere prima del dovuto, una intensità difficile da dimenticare.
20/02/2011