Il cinema di Marco Berger, regista argentino nato a Buenos Aires nel 1977, si sta ritagliando col tempo un posto molto interessante nella produzione del suo paese, dove è diventato una delle più importanti voci del cinema a tematica lgbt+. Dal 2009 ad oggi ha girato diversi corti e otto lungometraggi, dimostrando una cifra molto personale anche quando i lavori venivano realizzati con la collaborazione di co-registi, come Marcelo Briem Stamm (per il doppio progetto ad episodi "Tensiòn sexual: Volumen 1: Volàtil" e "Sexual Tension: Violetas") o il documentarista Martìn Farina (per "Taekwondo", finora il suo lavoro più esplicito). Le opere di Berger si riconoscono per il loro modo di raccontare storie d’amore gay ponendo non tanto l’attenzione sugli aspetti più passionali delle vicende ma sull'attrazione crescente durante il corso del film fra due uomini per poi disvelarsi solo nel finale. Nato in un paese in cui i diritti civili sono garantiti da diversi anni (matrimoni e adozioni per le coppie omosessuali furono approvati nel 2010), Berger è comunque figlio di una società, quella latino-americana, in cui alcuni stereotipi riguardo al concetto di mascolinità sono ancora ben radicati, e quindi il suo cinema racconta di uomini che, nonostante appartengono alla società contemporanea, trovano ancora molte difficoltà nell’essere se stessi fino in fondo. Questa difficoltà nelle sue storie si evince attraverso un contesto spesso rarefatto e simbolico, nel quale due protagonisti si muovono seguendo le linee guida di plot piuttosto essenziali. La tensione erotica ed emotiva che caratterizza pellicole come “Plan B”, “Ausente-Assente” e “Hawaii” procede abbastanza sottopelle ma il risultato, forse perché così lontano dalle storie dalle tinte più forti che siamo abituati a vedere, è assolutamente efficace.
"Un rubio", presentato al Festival di San Sebastian nel 2019 (la pellicola successiva di Berger, "El cazador", è passata invece a Rotterdam a fine gennaio 2020), apparentemente sembra costituire un’eccezione nella sua filmografia. Anche se pure in questo caso la storia si svolge nel solito appartamento (l’ambiente chiuso come metafora della situazione che i personaggi stanno vivendo) con due protagonisti che si ritrovano a condividere l’abitazione, con intorno una teoria di personaggi che svolgono (più o meno consapevolmente) il ruolo di oppositori, stavolta non assistiamo al nascere e al crescere cadenzato di un sentimento. I due protagonisti, il padrone di casa Juan (l’attore teatrale e danzatore Alfonso Baròn) e il nuovo inquilino Gabriel (il biondo del titolo, interpretato da Gaston Re, già componente della squadra di "Taekwondo" e qui impegnato anche in veste di co-produttore), si rendono conto quasi subito di piacersi e la loro relazione, vissuta quasi totalmente all’interno delle mura domestiche, inizia senza grandi titubanze. Juan però è un dongiovanni, ha una fidanzata abbastanza volatile, si concede delle libertà e sogna un domani di avere una famiglia; tutte cose che non contemplano Gabo (per la verità lo potrebbero contemplare ma Juan rientra perfettamente nel modello di maschio solo apparentemente dominante, in verità piuttosto insicuro, che il cinema di Berger ama raccontare). Operaio in una segheria, giovane vedovo e padre di Ornella, una bambina carina e moderatamente petulante che frequenta le scuole elementari e vive coi nonni, Gabo è un uomo taciturno e introverso. Sarebbe pronto a vivere una relazione che non sia solo a base di sesso con Juan ma è anche sufficientemente saggio da capire che non può pretendere di più dall’amante, anche se allo spettatore è abbastanza chiaro che, malgrado le sue paure e resistenze, anche per Juan quella che sta vivendo non è un’avventura senza importanza.
Cinema di sguardi e di silenzi, in cui i dialoghi servono soprattutto a suggerire una facciata, oltre che a raccontarci la quotidianità dei personaggi (in questo fanno eccezione, in quanto rivelatori, il passaggio in cui Juan racconta a Gabo le sue vere intenzioni e quello dolente in cui il biondo ricorda la morte della moglie), "Un rubio" è un’opera che pure essendo più diretta dei precedenti lavori del regista (anche di "Taekwondo" che, nonostante la nudità maschile esibita con grande disinvoltura non aveva sequenze erotiche), resta pur sempre un film che punta molto sulle atmosfere che Berger riesce sempre sapientemente a costruire. Potrebbe sembrare in apparenza il suo film più pessimista, visto che si conclude con un allontanamento tra i due protagonisti, ma in effetti il momento conclusivo nel quale il timido Gabo rivela alla figlioletta chi fosse veramente Juan per lui e la reazione allegra della bambina, sono il migliore epilogo che l'autore potesse pensare per il suo personaggio principale, che ha saggiamente accettato di rinunciare ad amare una persona che non aveva dei veri slanci verso di lui (e al quale fa da perfetto contraltare il volto triste di Juan dopo che la partenza dell’amato).
cast:
Luis Roberto Re, Fred Raposo, Julieta Tramanzoli, Guido Losantos, Franco Heiler, Melissa Falter, Antonia de Michelis, Justo Calabria, Fabio Zurita, Charly Velasco, Ailin Salas, Malena Irusta, Alfonso Baròn, Gaston Re
regia:
Marco Berger
durata:
111'
produzione:
Universidad del Cine
sceneggiatura:
Marco Berger
fotografia:
Nahuel Berger
scenografie:
Natalia Krieger
montaggio:
Marco Berger
musiche:
Pedro Irusta