È vero che la maggior parte dei comici ha un'anima nera e che molti di loro riescono con disinvoltura a passare dal dramma alla commedia mantenendo inalterata la qualità della propria arte. Di esempi ce ne sono all'infinito e basterebbero, su tutti, i casi di Tom Hanks e Jim Carrey per non avere dubbi a riguardo. Nonostante questo per la parti in causa la questione è tutt'altro che scontata, come sa bene Diego Abatantuono, il quale, abbonato a replicare la variante del terrunciello settentrionale, ha deciso di fare il grande salto, spinto più che altro dalla necessità di rilanciare la propria carriera giunta in quel momento a una fase di stallo e solo grazie all'intuito di Pupi Avati che, per la prima volta, lo ha voluto sullo schermo cinico e duro nel suo "Regalo di Natale" (1996). Nonostante non sia la stessa cosa, poiché nel frattempo la filmografia del nostro si è arricchita di personaggi a tinte forti, è pur sempre vero che vedere l'attore milanese con il viso rabbuiato e la mente occupata da pensieri poco felici è comunque un'eccezione rispetto al normale. In questa occasione a farne risaltare la vena più drammatica è Denis Rabaglia, regista di "Un nemico che ti vuole bene", per il quale Abatantuono interpreta il professore di astronomia Enzo Stefanelli, coinvolto suo malgrado negli affari di un killer su commissione a cui per circostanze casuali ha salvato la vita e che per questo lo vuole ricompensare proponendogli di far fuori il suo peggior nemico.
Da questo spunto - peraltro suggeritogli dal polacco Krzysztof Zanussi - è partito il regista Denis Ramaglia per sviluppare la vicenda di "Un nemico che ti vuole bene", film che alla stregua delle opere più interessanti deve la sua riuscita alla capacità di cambiare forma cinematografica e di restare sempre in bilico tra le diverse opzioni che mette in campo. A partire da quella attinente all'individuazione del nemico da uccidere, che il film, come in un giallo di Agatha Christie, riesce a tenere fino all'ultimo in sospeso, nascondendolo allo spettatore e allo stesso protagonista, costretto ogni volta a rivedere i propri piani e a riconsiderare le proprie posizioni attraverso il continuo rimescolamento di ruoli e di rapporti. Una caratteristica, questa, favorita dalla verosimiglianza con cui la sceneggiatura riesce a fare incontrare i diversi fili narrativi senza compromettere l'intento di cambiare ogni volta l'obiettivo del killer e di riservarsi un colpo di scena finale capace di ribaltare le premesse del film. Fluidità e mutevolezze che, comunque, non sono riferibili a soli contenuti ma parimenti allo stile di recitazione - ritirato e quasi laconico quello del sempre ottimo Abantuono, più spinto e leggero quello di Ghini e Ciufoli - e alla varietà delle atmosfere. Queste ultime ricavate da un'ambientazione che ancora una volta rilancia il principio dell'unità degli opposti nel momento in cui alla foresta cupa e tenebrosa della sequenza iniziale subentrano gli scorci illuminati e pittoreschi offerti dalla bellezza della costa pugliese, a cominciare da quelli del suo capoluogo. È dunque un peccato che, tirando le fila del ragionamento, non si possa parlare di "Un nemico che ti vuole bene" qualificandolo con gli aggettivi che avrebbe meritato se fosse stato più audace e, diciamo pure, cattivo quando, nella seconda parte, si trattava di affondare il colpo e dare seguito ai propositi di rivalsa nei confronti di amici e parenti. Il finale buonista e la voglia di ritornare nell'alveo della normalità lo costringono a tenere strette le briglia sulla sua voglia di eversione.
Il film è comunque buono ma secondo chi scrive inferiore alle ambizioni palesate nelle sue premesse.
07/08/2018