Davide Ferrario è da diversi anni il regista più controcorrente e "fuori" del cinema italiano. Fuori dagli schemi e dalle convenzioni che attanagliano gran parte del cinema italiano (indipendente compreso: ecco la tragedia), fuori da qualsiasi trionfalismo nazionalpopolare, fuori misura. Fuori dal mucchio.
Pur se non sempre a fuoco il cinema di Ferrario osa. Non si limita a raccontare la realtà, ma in alcuni casi si situa dentro di essa. Accade cosi' per "Tutta colpa di Giuda", il film italiano più anomalo del 2009, nonché uno dei più ambiziosi del regista (utilizzando il digitale e senza per questo essere accompagnato da un cifra stilistica "autoriale"), seppur messo in scena con ampio margine di improvvisazione.
Davide Ferrario circa nove anni fa fece un paio di lezioni di montaggio a un corso di formazione professionale per video-editor e operatori che si teneva a San Vittore. L'esperienza lo colpì tanto al punto di chiedere un permesso da volontario e da allora continua a frequentare saltuariamente l'ambiente (nel 2002 realizzò un documentario, "Fine amore: mai", sulla sessualità in carcere).
Come dice il regista, "Tutta colpa di Giuda" non è un film sul carcere, ma "nel carcere". E' una pellicola sulla religione e sul tema della libertà.
E' anomalo e coraggioso perché mescola generi apparentemente inconciliabili come documentario e musical. Quando i detenuti si confessano davanti alla mdp quanto sono se stessi e in che misura recitano? Messa davanti a un obiettivo la sincerità cessa oppure no?
Attraverso questo processo che vede incrociare il realismo con un genere cinematografico come il musical, l'uomo si libera ugualmente delle inibizioni e dà libero sfogo a un azione di libertà individuale che, al servizio del film, comincia a porre più di un'ipotesi. Ferrario gioca di supposizioni "alte" più che di vere e proprie domande: perché Gesù non rideva mai? E se Giuda non avesse mai ceduto al bacio traditore? Senza il sacrificio di Gesù Cristo come sarebbe cambiata nei secoli la storia dell'umanità (almeno quella cristiana)? Certo, il senno di poi tocca il tasto dell'assurdità, ma con una leggerezza d'intenti che lascia ammirati. La rilettura cristiana è filtrata attraverso gli occhi di una ragazza atea (ma aperta alla visione religiosa e sociale), perlatro artista: Irena Mirkovic è anche un alter-ego all'ateo Ferrario.
Le dà un volto e un corpo la bella Kasia Smutniak che si mette in gioco con straordinaria spontaneità.
Ferrario alla fine stacca la spina. L'Ultima Cena, viatico alla libertà, resta un sacro rito utopico.
21/12/2009