Benoit Jacquot fa parte della nutrita presenza di cinema francese in concorso alla 71esima Mostra di Venezia. Il suo cinema è quello del melò, dei chiaroscuri dell'animo umano e delle sue contraddizioni. Aveva già portato più volte le sue opere in concorso a Venezia, come "Il settimo cielo" (1997), "Sade" (2000), "Tosca" (2001) e "L'intouchable" (2006), senza ritirare significativi riconoscimenti.
Quest'anno è la volta di "Tre cuori" ("3 coeurs") che si avvale di un ottimo cast. Marc (Benoit Poelvoorde, in concorso anche con il film di Beauvois) e Sylvie (Charlotte Gainsbourg) s'incontrano per caso una notte in una piccola città di provincia, lui ha perso il treno e così hanno modo di conoscersi. I due parlano per l'intera notte di ogni cosa all'infuori delle loro vite e all'alba, quando Marc deve ripartire per Parigi, decidono di darsi un appuntamento la settimana successiva proprio nella capitale francese.
L'incipit rimanda alla memoria "Sliding Doors" di Peter Howit e "Prima dell'alba" di Richard Linklater, in entrambi i titoli è il Caso che permette a due estranei di incontrarsi o di determinare tutti gli eventi futuri.
E il futuro arriverà sotto forma di imprevisto che non permetterà a Marc e Sylvie di onorare l'appuntamento.
Da questo momento incomincia un altro film, un'altra storia. Marc ritorna in provincia dove aveva incontrato Sylvie e non la trova. S'innamora invece di Sophie (Chiara Mastroianni) che scoprirà dopo essere la sorella di Sylvie. I due si sposeranno, ma l'attrazione per quello che non è stato tornerà. Tutto sotto lo sguardo attento e partecipe della matrona di casa, Catherine Deneuve.
Fin dalle prime scene è la colonna sonora, maestosa e severa, ad ammonire lo spettatore che non si tratta di una commedia come tante, dai toni melensi e sdolcinati. La storia propone un susseguirsi di suspense e sorprese più consoni al genere del thriller. Potrebbe considerarsi una sorta di contaminazione tra lo stesso genere thriller e quello sentimentale.
Marc non è altro che un uomo qualunque, privo di una particolare personalità che subisce le decisioni degli altri fino a che si renderà conto, in ritardo, di quello che ha perso. Le sue continue corse nella vana ricerca di una puntualità sono la rappresentazione del suo carattere e del suo destino. Qui Poelvoorde recita con misura, abbandonando le gag e la recitazione fisica che aveva riservato a "La Rançon de la Gloire".
Jacquot decide di raccontare questa storia con uno stile classico, avvalendosi spesso di riprese frontali o di spalle delle due coppie (Marc-Sylvie o Marc-Sophie) che ricordano un po' quelle su campo lungo tipiche di Takeshi Kitano.
Nella prima parte il film è molto compatto e ha un ritmo incantevole, poi nella seconda parte, soprattutto nel finale, diventa un po' ridondante e gira a vuoto. Forse il regista francese avrebbe potuto tagliare qualcosa e rendere meno farraginosa la chiusura. Il risultato rimane comunque piacevole per un film che non sfigura nel concorso veneziano.
25/08/2014