Dal primo capitolo (1995: il primo film interamente realizzato in grafica computerizzata) alla chiusura della trilogia (2010), passando per il secondo (1999), Andy è cresciuto, e noi con lui. Meno i suoi e i nostri giocattoli sopravvissuti, che avranno pur subito qualche graffio, ma lottano contro il tempo per resistere in nome di quell’ eterno status cucito su misura di giocattolo.
Avvicinarsi al nuovo lavoro Pixar è come tornare in soffitta dopo undici anni, rispolverare il campo giochi e sfogliare i libro dei ricordi fanciulleschi, filtrato attraverso la telecamerina della mamma, che vaga aerea sui passi della nostra infanzia, donando al cowboy Woody la sua avventura western (l’incipit di questo terzo capitolo) , trasfigurata nel suo andamento dai suoi compagni d’avventura. Il tutto in un mondo senza regole dove possono viaggiare a braccetto un ranger spaziale e un cavallo, un cane e una barbie, un cavallo e un dinosauro. Un’innocente e pura fantasia, che offre mondi inediti e inesplorati, straripanti di azione e imprevedibilità. La stessa, infinita, fantasia che da quindici anni sembra sprigionare a tutto tondo nel nostro immaginario ogni qualvolta ci accostiamo a un nuovo lavoro targato Pixar, la casa di produzione più inventiva e importante del cinema contemporaneo.
Catapultati in un asilo, i nostri vecchi amici sono affiancati da una pattuglia di nuovi personaggi, capitanati da Lotso Grandi Abbracci, orsacchiotto rosa che profuma di fragola. Una combriccola che ha finalmente trovato il proprio habitat naturale? Non esattamente: il sottosuolo di intrighi, gelosie, colpi di scena e sentimenti sono inglobati in un tessuto svariante nei toni (dalla commedia all’avventura, dal noir al musical, dal dramma privato al film carcerario, dall’horror al surreale), e nei ritmi (dolly, piani sequenza, microstorie dai tempi dilatati e sequenze dal montaggio serrato) che rendono “Toy Story 3” un contenitore di tutto ciò che è stato la Pixar in questo quindicennio e, al contempo, una sintesi di ciò che può essere il cinema oggi non tradendo mai gli spiriti degli archetipi della settima arte.
I giocattoli sono animati da uno spirito che più umano non si potrebbe: gelosie, contraddizioni, emozioni, solidarietà. In questo modo lo spettatore è invitato a confrontarsi non soltanto con le scelte di Andy, in procinto di trasferirsi al college, ma anche con il destino di Woody e company. Un tragitto a doppio binario, ampio e complesso, che pone domande con misure articolate e sempre pronte a lasciare a bocca aperta gli spettatori di tutte le età. E bisogna sottolineare l’eccellenza tecnica del prodotto?
In un’incessante sarabanda cui un riassunto farebbe torto (a ognuno il proprio attimo e il proprio personaggio: le sequenze con Barbie e Ken sono già cult, per dire, e il viaggio agli inferi – la discarica – produce momenti di epica tensione) si giunge alla più difficile delle scelte: un colpo al cuore che costringerà lo spettatore a ricordare i giocattoli della propria infanzia.
Un finale perfetto ed emozionante per una trilogia che ha fatto storia. Pronti per una rinascita, Woody, Buzz, Jessie e amici, acquisiscono la consapevolezza che, oltre alla crescita di Andy stavolta anche loro sono più maturi. Cresciuti e quindi pronti per tornare bambini, per i bambini.
regia:
Lee Unkrich
titolo originale:
Toy Story 3
distribuzione:
Walt Disney Pictures
durata:
103'
produzione:
Pixar Animation Studios
sceneggiatura:
Michael Arndt, John Lasseter, Andrew Stanton
musiche:
Randy Newman