Ondacinema

recensione di Matteo Pennacchia
9.0/10

Quando gira "Tideland" alla fine del 2004 Terry Gilliam ha alle spalle un lustro professionalmente infelice. Alla celeberrima débâcle di "Don Quixote" documentata in "Lost in La Mancha" hanno fatto seguito lo spodestamento dalla regia del primo "Harry Potter", il rifiuto degli studios di finanziare un adattamento di "Buona Apocalisse a tutti!", romanzo a quattro mani di Neil Gaiman e Terry Pratchett, e il burrascoso rapporto con i Weinstein durante la lavorazione di "I fratelli Grimm e l'incantevole strega", che ha portato al siluramento di Nicola Pecorini e, con le parole del regista, a un risultato che non accontenta nessuno, né lui né i produttori.
Con un budget molto minore del precedente, dodici milioni di dollari a fronte di novanta, Gilliam e compagnia volano dalla Repubblica Ceca al Canada mentre la postproduzione dei "Grimm" è ancora in corso. Budget minore uguale indipendenza maggiore: cliché, però è così che nasce "Tideland", paura e delirio nel paese delle meraviglie, inquietante parabola della decenne Jeliza-Rose che passa le giornate a preparare dosi di eroina al padre, rocker nevrastenico con il mito dello Jutland, e a massaggiare le gambe della madre, bipolare drogata di metadone e cioccolato; almeno fintanto che a questa non prende un colpo apoplettico fatale e la bambina si ritrova in viaggio con papà verso la prateria, verso la casa della defunta nonna, fatiscente topaia dove anche l'altro genitore muore subito con l'ultima siringa infilata nel braccio. Fortuna che insieme a Jeliza-Rose ci sono le sue teste di bambola parlanti e la coppia di fratelli Dell (psicotica, nerovestita e orba da un occhio) e Dickens (epilettico lobotomizzato) che vive non lontano: oggetti e personaggi sui quali Gilliam è libero di ricamare i propri argomenti ricorrenti, la labilità della sanità mentale e l'evasione dalla realtà attraverso il suo filtraggio fantastico. Tutto ciò su cui si posano gli occhioni di Jeliza-Rose, stemma finale del film, diventa materia di creazione narrativa, assumendo un doppio significato effettivo e fiabesco: la carcassa arrugginita e rovesciata di un pulmino, i vestiti tarmati della nonna scovati in soffitta, il padre gonfio e verdastro immobile sulla sedia a dondolo in soggiorno, gli scoiattoli che gironzolano nei campi, Dell che a turno è uno spettro, una strega, una piratessa o un vampiro e Dickens, capitano di un sottomarino che naviga in un mare di spighe all'inseguimento di uno squalo gigante.

Al contrario di Tim Burton, che tende a edificare mondi univoci senza ampie scale di profondità dimensionale ("Big Fish" a parte), in Gilliam spesso è netto lo iato fra realtà, quasi sempre grigia e squallida, e fantasia, a volte pacificante altre volte coattiva o ambo le cose; ed è lì in quella voragine che si accendono le comiche tragedie di figure come Parry di "La leggenda del re pescatore" o Sam di "Brazil". O, appunto, di Jeliza-Rose, i cui meccanismi di autodifesa non possono fare altro che rimpiazzare ciò che sta attorno con ciò che sta oltre, la verità con il feticcio: in una specie di transfert la morte della madre, accolta con apparente disinvoltura, viene spostata sulla perdita di una delle teste di bambola, poi protagonista di una macabra e sognata resurrezione, mentre il padre, imbalsamato da Dell quindi ancora corpo quindi ancora vivo in un'ottica di presenza materiale, resta punto di riferimento confidente, un po' totem freudiano un po' orsetto di peluche. Dickens con il suo ritardo mentale invece diventa dapprima l'apertura su una possibilità di amicizia alla pari, ovvero con un altro "bambino" malgrado sia adulto, poi, nelle vesti di principe azzurro, realizzazione del racconto straordinario, indirizzata a quel lieto fine di cui Jeliza-Rose avrebbe disperatamente bisogno per chiudere il libro e sollevare la testa da un incanto che rischia di fagocitarla, ma che potrebbe avere pure l'effetto opposto.

Il film procede di visione in visione, di fiaba in fiaba, fotografato da Nicola Pecorini in modo coloratissimo e sbilenco, per accumulazione di ansie e umori; regna l'impressione che non si vada a parare da nessuna parte e che la storia possa continuare all'infinito, inconcludenza che nel bene e nel male è diventata marchio della filmografia di Gilliam e sostegno di ogni suo detrattore. Jeliza-Rose approfondisce la conoscenza dei suoi vicini di casa fantasticandoli, sedotta e intimorita al contempo, e ogni tanto la realtà affonda una coltellata, innocua sulla superficie dei personaggi ma sofferta dallo spettatore. C'è qualcosa di sbagliato e condizionante nelle reiterate menzogne della bambina e di ancora più sbagliato nei sottotesti sessuali della relazione amorosa fra lei e Dickens, un'aberrazione fuori controllo, ignota nella diegesi ma avvertita al di là dallo schermo, che fa di "Tideland" un concentrato di non detti disturbanti, zavorra sulle percezioni di una decenne che fino adesso ha fatto i conti con numeri fuori dalla sua portata (droga, morte, fuga, solitudine) convertendoli, adattandoli, zuccherandoli. Forse solo l'esplosione della normalità nei suoi risvolti più tragici e accidentali saprà destarla, comunque il risveglio sarà lungo e faticoso.

Anarchico e onirico ma anche doloroso e disgustoso, "Tideland" è visibilmente innamorato della sua piccola protagonista sempre in scena, una Jodelle Ferland brava a camminare sul filo tra l'essere insopportabile e l'essere irresistibile, affiancata da un buon cast dove però a spiccare davvero è Brendan Fletcher, Dickens: nell'interpretare ruoli che prevedano handicap mentali il pericolo frequente è il ridicolo involontario e Fletcher lo evita con naturalezza prodigiosa. Il resto del comparto tecnico è di livello altissimo ed è la base di un complesso dato il quale si rimane allibiti davanti al terrificante fallimento al botteghino. Non il primo e non l'ultimo nella carriera di Gilliam, al quale i compromessi vanno stretti: "Tideland" è uno dei suoi film più sciagurati e personali, uno sguardo sia infantile che sull'infanzia, età cara al regista perché sede principale e irripetibile di quei deragliamenti dell'immaginazione di cui si compone il suo cinema.


23/04/2017

Cast e credits

cast:
Jodelle Ferland, Brendan Fletcher, Jeff Bridges, Janet McTeer


regia:
Terry Gilliam


titolo originale:
Tideland


distribuzione:
Officine UBU


durata:
120'


produzione:
Gabriella Martinelli, Jeremy Thomas


sceneggiatura:
Tony Grisoni, Terry Gilliam


fotografia:
Nicola Pecorini


scenografie:
Jasna Stefanovic


montaggio:
Lesley Walker


musiche:
Mychael e Jeff Danna


Trama
Dopo la morte improvvisa della madre, la decenne Jeliza-Rose e suo padre Noah scappano nella vecchia casa di famiglia, sperduta nella prateria. Lì poco dopo muore anche Noah, tossicomane, e Jeliza-Rose si perde in un mondo immaginario fatto di teste di bambola parlanti, fantasmi, sottomarini e animali impagliati.