Brillante Mendoza è un aficionados dei festival europei ormai da qualche anno, riuscendo a raggiungere in qualche caso dei risultati notevoli: spaccare nettamente la critica, tra applausi e bordate di fischi e vincere premi importanti come la palma alla miglior regia al festival di Cannes per "Kinatay".
"Thy Womb" è però una delle sue opere più docili e piane, che usa un linguaggio elementare per coincidere con la povertà della vita dei Bajau, i cosiddetti "nomadi del mare" che vivono in case mobili e penisole di palafitte intorno al territorio insulare di Tawi Tawi. Eccellente la fotografia di Odyssey Flores che accarezza con grazia la compatta superficie marina, contenitore visivo vitale che brulica del pescato di cui vivono i Bajau. Tra loro, Mendoza sceglie di seguire una coppia di mezz'età, lui pescatore, lei levatrice. I due nonostante abbiano adottato dei ragazzini, poi ripresi dai genitori una volta cresciuti, non hanno mai avuto figli loro a causa della sterilità della donna. Un destino avverso per chi passa la vita ad aiutare le partorienti a dare alla luce i loro pargoli. Dopo che l'uomo rischia di rimanere ucciso a causa dell'attacco pirata alla sua barca, Shaleha comincia a rassegnarsi all'idea di lasciarlo risposare con una donna più giovane che lo renda finalmente padre: l'unico codicillo è che sia lei a trovare una ragazza a cui fare la proposta di matrimonio.
Il conflitto che permea "Thy womb" è quello tra la fertilità di Madre Natura che sfama un piccolo popolo che vive nell'ecosostenibilità - senza conoscere probabilmente cosa si indichi con tale concetto - e l'infertilità della protagonista (interpretata da una delle più famose attrici filippine, Nora Aunor). Mendoza non risparmia le crudezze del suo stile e, difatti, la pellicola si apre sul parto di una donna, più dettagliatamente su una vagina che si schiude alla nascita di una nuova vita. Il valore semantico di scene sì simili è però di carattere contrastivo: all'inizio il parto include Shaleha nel consesso sociale dei Bajau, mentre nella sequenza finale la esclude, poiché la giovane moglie di Bangas aveva posto come unica limitazione il fatto che la levatrice sarebbe dovuta sparire dopo la nascita del loro primogenito.
Mendoza sfrutta questa debole traccia narrativa per scorgere in miniatura le difficoltà della vita quotidiana di questo antico popolo isolato dal mondo che segue, con commovente serenità, tradizioni millenarie che a noi (soprattutto occidentali) paiono anacronistiche, rese interessanti solo dalla tendenza etnologica del filtro della sua macchina da presa. Il regista filippino, anche se dà l'impressione di voler documentare una realtà, non lascia al caso nessun dettaglio nella cura dell'immagine: composizione dettagliata dell'inquadratura, posizionamento strategico della macchina da presa, comparto sonoro pulitissimo, esaltato nelle scene delle celebrazioni dei matrimoni dove si intravede un mixer per la musica, unico oggetto moderno a parte i motori delle imbarcazioni.
In verità più volte si palesa il sospetto per un'irrisolutezza tra scelta documentaria e opera di fiction tastando una sottile linea dove la poesia per i meravigliosi paesaggi si confonde con una drammaturgia pretestuale e che, talvolta, risulta persino ingombrante rispetto alla naturale curiosità suscitata da riti e modus vivendi così lontani dalla nostra quotidianità. Ed ecco di seguito un altro possibile handicap: l'idea di folklore, tanto ostentata quanto consapevole che, nel disegno generale di "Thy Womb", non si comprende a pieno in che modo collocarla. La regia di Mendoza ha i suoi momenti migliori quando da un angolo spia la vita dei Bajau, osserva a pelo d'acqua lo spingersi nell'oceano della barca di Bangas e quando, scendenddo negli abissi, si ferma per filmare la natura al suo massimo splendore.
cast:
Nora Aunor, Bembol Roco, Lovi Poe, Mercedes Cabral
regia:
Brillante Mendoza
titolo originale:
Sinapupunan
durata:
100'
produzione:
Centerstage Productions
sceneggiatura:
Henry Burgos
fotografia:
Odyssey Flores
montaggio:
Kats Serraon
musiche:
Teresa Barrozo