Esce talmente in ritardo che in Inghilterra è già andato in onda uno
spin-off: la serie televisiva "This is England '86". Ma il film è di una tale disperata bellezza che, una volta tanto, ringraziamo il distributore che, tardi ma meglio che mai, ci dà l'opportunità di appassionarci e commuoverci davanti al grande schermo per e con Shaun, Combo, Woody, Smell e tutti gli altri eroi e vittime di questo straordinario spaccato generazionale.
Siamo nell'Inghilterra del 1983 e sembra, non solo per le immagini di repertorio che scorrono sui titoli di testa, di assistere a un documento in tempo reale, a uno di quei film a firma Frears o Leigh che, ancor prima di Loach, contrappuntavano con amaro disincanto le opere degli Oscar e dei successi di botteghino a cui si associa la rinascita del cinema britannico. Umori, linguaggio, soprattutto abiti e capigliature (la rasatura è di rigore, all'ultimo entrato nella compagnia viene "assegnata" a mo' di rituale) sono precisamente, maniacalmente quelli della gioventù d'epoca (ma non di cultura) thatcheriana. L'emarginazione, la ferita delle Falkland, di riflesso la disgregazione di un tessuto sociale costellato di disoccupati e delinquenti fanno da sfondo all'adolescenza dei protagonisti del quarto lungometraggio dell'empatico Shane Meadows, opera che al Festival di Roma 2006 vinse il Premio Speciale della Giuria.
A vivere la (e al contempo ad assistere alla) tragica epopea dei ragazzi di una desolata cittadina di mare è soprattutto il dodicenne Shawn, tipica fisionomia del luogo, ma fuori luogo per come si veste e per come sta in società, tant'è che tutti a scuola lo prendono in giro. La strada lo fa imbattere in un banda di ragazzi più grandi che lo proteggono, lo mettono "a registro", gli danno modo di far valere la sua grinta. Il merito dell'autore è il coraggio di conferire alle vecchie dottrine della sociologia e della psicologia l'incarico di spiegarci i suoi personaggi (che però spesso hanno almeno un comportamento contraddittorio: ad esempio, il razzista Combo alla fine se la prende anche con un suo camerata, bianco), senza badare a una critica sempre pronta a individuare le forme degenerative del sociologismo e dello psicologismo in chiunque si affidi a questi strumenti narrativi; dall'altro di appassionarsi talmente tanto alle vicende raccontate (indice ne è il commento musicale pervasivo) da risultare di insostenibile emotività.
La svolta politica è un'inaspettata mazzata per lo spettatore, pur nella sua totale coerenza con lo sviluppo e il contesto. Mentre il finale, decisamente risaputo e didascalico se ripensato a freddo, nel corso della visione, non riesce a smontare la carica drammatica fin lì accumulata, né a far si che "This Is England" si dimentichi tanto facilmente. A patto, ovviamente, che si corra a vederlo.
30/08/2011