Diciamo la verità: raccontare la rivoluzione egiziana dal punto di vista di chi propugna la democrazia laica e liberale contro Hosni Mubarak, contro l'esercito, contro i Fratelli Musulmani, non è un scelta particolarmente spiazzante e coraggiosa; sembra piuttosto un'operazione ad uso e consumo del pubblico occidentale, che può trovare conferma della propria superiorità culturale e politica. L'Academy non ha fatto mancare il proprio apprezzamento e ha inserito "The Square" nella cinquina dei candidati all'Oscar nella sezione "documentari", in un'epoca d'oro per il cinema non-fiction che ha partorito opere di ben altra levatura stilistica rispetto a un classico - e un po' monotono e ripetitivo - esempio di
cinéma vérité.
Che l'autrice Jehane Noujaim, egiziana laureata ad Harvard e pluripremiata per questo e per i precedenti lavori, sia fieramente e smaccatamente di parte emerge in molteplici sequenze di un racconto che procede, in ordine cronologico, dalle prime rivolte contro il despota al caos seguito alla vittoria di Mohammed Morsi alle elezioni presidenziali. Quattro, principalmente, i personaggi pedinati nel corso dei mesi, tre dei quali condividono i medesimi ideali: l'attore Khalid Abdalla, che fa ritorno in Egitto dopo un'apprezzabile carriera internazionale, il giovane passionario Ahmed Hassan, il musicista cantore del cambiamento Ramy Essam. Il quarto è l'islamista Magdy Ashour, le cui argomentazioni sono sistematicamente confutate, messe in minoranza, travolte da un mare di parole e da una transitoria crisi di coscienza. Persino in famiglia non riesce ad avere ragione.
La Noujaim, tuttavia, fa centro nell'intento di realizzare un'opera al contempo partigiana e problematica. I dibattiti di Khalid, figura preponderante nella prima metà del film, con connazionali viventi all'estero e ricchi di esperienza (tra cui il padre) allargano il discorso a questioni inerenti le elezioni, la storia del paese e di altre esperienze analoghe, il problema cruciale dell'organizzazione. È però il percorso di Ahmed, che assume sempre più rilevanza nel prosieguo della pellicola e il cui volto registra una gamma onnicomprensiva di emozioni, a illuminare la parabola degli eventi della Primavera egiziana; a capire e a spiegarci che non si tratta di un pranzo di gala, che gioia e rivoluzione non sempre vanno d'accordo, che l'unità tra chi la pensa in maniera molto diversa non sempre è perseguibile.
E se le tesi portate avanti da un film in evoluzione, costruito in tempo reale e senza sceneggiatura (ovvero: che chi la pensa come l'autrice è la maggioranza del popolo egiziano e il cuore della rivolta, che i Fratelli Musulmani sono conniventi con l'esercito ecc.) sono già state clamorosamente confutate dalla Storia, restano immortalate le immagini della repressione più cruda, coi manifestanti schiacciati dai caroselli e crivellati dai colpi sparati ad altezza uomo, su cui la macchina a mano "d'ordinanza", che abita spessissimo ambienti esterni, mirabilmente non indugia, ma al contempo non glissa affatto; trova la giusta distanza tra dovere di cronaca (con rischi enormi per gli operatori) e etica di sguardo.
Su tutto e su tutti, protagonista assoluta, una piazza Tahrir che, nonostante le dimensioni sterminate, fatica a contenere un oceano di vita pulsante. Tra
plongeé su fedeli in preghiera, piani d'insieme su colorate moltitudini variamente assortite, strette serpentine tra manifestanti accalcati, restituisce una ricca iconografia coreografica destinata a popolare i resoconti retrospettivi degli eventi.
Distribuito, poco e male, in lingua originale coi sottotitoli.
20/02/2014