Ci sarebbero molti modi per iniziare a parlare del nuovo film di Michel Gondry, tanti quanti sono i rivoli di un tessuto visivo che nelle opere del regista francese arricchisce di spunti, trovate e microstorie la descrizione del soggetto principale. Gondry, infatti, è uno di quegli autori che si fatica a incasellare in uno spazio artistico definito. Formidabile inventore di immagini che sfuggono alla normalità attraverso la contaminazione di forme e di stili (dalla video-arte al videoclip, dall'animazione alla pittura), il nostro autore è riuscito con una manciata di film, anche non completamente riusciti ("Mood Indigo - La schiuma dei giorni"), a guadagnarsi la fama di demiurgo cinematografico in grado di competere per fantasia e suggestioni con quella di un collega talentuoso e altrettanto alla moda come Wes Anderson. Per non smentire la sua fama, Gondry si ripresenta sulla scena con un lavoro che in un certo senso esula da quello a cui ci ha abituato e nello stesso tempo ci rientra pienamente. Cercheremo d'essere più chiari, non prima di aver premesso che "Is the Man Who Is Tall Happy?" è il resoconto di una serie di incontri con Noam Chomsky, linguista di fama universale, ma anche personaggio che sfugge a qualsiasi tentativo di normalizzazione, se è vero che pur in presenza di riconoscimenti e tributi da parte dell'establishment, Chomsky si è distinto per una militanza radicale e antimperialista rivolta non solo contro la politica estera degli Stati Uniti ma anche di quella di Israele, terra promessa di cui è impossibile condividere le scelte.
È infatti la personalità dell'interlocutore, insieme al tema dell'intervista, tanto specifico quanto astratto per chiunque non sia un addetto ai lavori e abbia voglia di saperne di più sulle origini del linguaggio e sull'influenza che esso produce nella percezione della realtà, ad accendere la spia su un soggetto che, fin da subito, denuncia una singolarità affine alla poetica dell'autore francese. Senza rinunciare alla finalità di quell'incontro, con il consueto schema di domande e risposte che, salvo qualche eccezione - quella che accenna al legame con l'adorata moglie, da poco scomparsa, lo è di sicuro - si mantengono sempre in linea con le premesse del documentario, Gondry si comporta da par suo, rappresentando quell'intervista attraverso disegni animati, che egli stesso si prende la briga di realizzare. Un lavoro "pazzo e disperatissimo", come egli stesso afferma, che Gondry compie in concomitanza con la fase di pre-produzione di "Mood Indigo" (è forse questa la ragione della sua parziale riuscita?), e che, però, gli consente di illustrare come meglio non si potrebbe l'ineffabilità dell'argomento in questione e i molti paradossi di cui Chomsky si serve per cercare di rendere comprensibili le proprie affermazioni.
Collocati su uno sfondo nero e grezzo, immersi nel rumore della telecamera demodé utilizzata dal regista e dominati da un segno stilistico che sembra pensato da una "spotless mind", i disegni di Gondry sembrano rifarsi a un cinema che riesce a coniugare le possibilità della moderne tecniche alla purezza del cinema muto. Una fantasmagoria di linee che si reinventano continuamente per dare vita a una gemmazione di storie pronte a spiccare il volo sulle ali di un'immaginazione febbrile e instancabile. Ma a dispetto di altri lavori dove il lato più artistico del regista sembrava prendere il sopravvento sulla centralità dei contenuti, quanto vediamo sullo schermo si sposa perfettamente con l'inafferrabilità delle parole, di cui l'animazione ci permette se non di afferrarne i significati, almeno di sfiorarne il senso.
Se Gondry, d'accordo con Chomsky, è convinto della parzialità dell'opera cinematografica che, anche nelle versioni più genuine, è il frutto della manipolazione operata dal regista sul materiale filmato, allora l'animazione diventa - come afferma il regista nella sequenza iniziale - un atto di onestà nei confronti dello spettatore, avvertito fin da subito del carattere unilaterale dei contenuti mostrati. Speculazioni che poco incidono sul valore di un'opera tra le più personali fra quelle realizzate dall'autore francese e che, in prospettiva, potrebbe fornire nuovi strumenti per un'eventuale esegesi della sua filmografia.
cast:
Michel Gondry, Noam Chosky
regia:
Michel Gondry
distribuzione:
I Wonder Pictures
durata:
90'
produzione:
IFC Films
sceneggiatura:
Michel Gondry
montaggio:
Sophie Reine, Adam M. Weber