Il prossimo 7 novembre 2010 sarà trascorso un secolo dalla morte di Lev Nikolaevič Tolstoj. Oggi in Russia, così come in tutto il mondo, viene osannata la grandezza di un uomo che non è stato solo lo scrittore Tolstoj, ma anche un filosofo-teologo capace di creare quasi una chiesa dallo spiccato manifesto socialista. In "The Last Station" lo spettatore assiste solamente all'ultimo anno della lunga e travagliata vita del genio autore di capolavori quali "Guerra e Pace" ed "Anna Karenina". Il film si focalizza infatti sul 1910, rielaborando il vademecum del tolstoismo, l'amore conflittuale vissuto con sua moglie Sofya e il suo ultimo viaggio che lo porterà non oltre la stazione di Astapovo, dove troverà la morte.
Stroncato da buona parte della critica perché ritenuto un mediocre tentativo di narrare la biografia di Tolstoj, in realtà la pellicola non ha nulla a che vedere con il solito biopic. Il titolo del film rimanda si inequivocabilmente all' "ultima stazione" in cui il poeta e pensatore visse in agonia diversi giorni prima dell'ultimo respiro, ma potrebbe risultare ingannevole se pensiamo che il nostro non è il protagonista principale della pellicola. Il film preferisce infatti districarsi tra le vicissitudini di più personaggi le cui vite sono state rapite dal genio dello scrittore russo. Se di un protagonista principale si vuole parlare, questo è senza ombra di dubbio Valentin, il nuovo segretario "addestrato" da Vladimir Chertkov. Vediamo tutto attraverso i suoi occhi indecisi, è lui a raccontarci a tutto tondo le peripezie che ruotano attorno allo scrittore e alla sua disciplina, è lui ad intraprendere una fugace e trasgressiva storia d'amore. Dai suoi occhi scorgiamo la nascita della comunicazione di massa, come testimonia la mdp che rimarca con più inquadrature l'orda di numerosi giornalisti alle porte della stazione di Astapovo. E ancora, è con i suoi occhi che assistiamo ai litigi della consolidata coppia portando a galla l'eterna diatriba tra pubblico e privato (motivo di conflitto tra Sofya e il marito). I temi toccati non sono pochi, ed è infatti qui che il film perde un po' di lucidità (ma mai la freschezza), descrivendo abbastanza tematiche da non riuscire purtroppo a tenerle sotto controllo per l'intera durata (la storia d'amore tra la Duff e McAvoy, ad esempio assume in modo un po' forzato le tinte di un parossistico mèlo).
Dopo essersi misurato con commedie americane del calibro di "Bolle di sapone" e "Un giorno, per caso" Michael Hoffman cambia decisamente genere e - prendendo spunto dal libro-documento di Jay Parini pubblicato nel 1990 - dirige senza dare troppo nell'occhio ma col merito di trovare il giusto compromesso tra commedia e dramma, grazie alla giusta dose di grottesco in un clima decisamente più consono alla tragedia storica (lo stesso regista dirà di essersi ispirato ai drammi di Čechov). E poco importa se, come detto, la sceneggiatura perde ogni tanto un colpo qua e là.
Ottimi i costumi ma la menzione speciale va all'intero cast. Mostruosa la coppia Plummer-Mirren (la sequenza che vede la coppia ritrovarsi da sola in camera da letto tra versi di galline ed ululati è sublime e tenerissima) ma è da sottolineare anche la timidezza e l'innocenza di McAvoy e un Giamatti in piena forma che incarna ottimamente la dipendenza religiosa, quasi fanatica, che Tolstoj era riuscito a costruire intorno a sé. Presentato in concorso al Festival di Roma dove la Mirren ha meritatamente ricevuto il Marc'Aurelio d'Argento alla migliore attrice.
cast:
Helen Mirren, Christopher Plummer, James McAvoy, Paul Giamatti, Anne-Marie Duff
regia:
Michael Hoffman
titolo originale:
The Last Station
distribuzione:
Sony Pictures Releasing Italia
durata:
115'
produzione:
Egoli Tossell Film Halle, Zephyr Films
sceneggiatura:
Michael Hoffman, Sebastian Edschmid
fotografia:
Sebastian Edschmid
scenografie:
Patrizia von Brandenstein
montaggio:
Patricia Rommel
costumi:
Monika Jacobs
musiche:
Sergei Yevtushenko