A volte capita, nel cinema come nella vita: tanto sforzo per nulla.
Ed è proprio quello che è capitato anche al remake,
made in Usa, di uno dei film di maggior successo degli ultimi anni del (nel) nostro paese, quell'ultimo (o presunto tale) bacio, che nel 2001 ha portato al regista romano soldi, consacrazione e qualche applauso. Grandi manovre d'oltreoceano, di quelle pensate per fare centro: Gabriele Muccino produttore (a cominciare a coltivare il terreno per la futura trasferta), il premio Oscar Paul Haggis in fase di scrittura e Zach "Scrubs" Braff mattatore sullo schermo.
Tanto sforzo per nulla. Per un flop commerciale clamoroso, prima di tutto, tanto da non riuscire praticamente a far valicare i confini natii (figurarsi quelli nostrani). Ma anche, e forse dovremmo dire soprattutto, per un risultato non certo esaltante.
La trama non subisce cambiamenti sostanziali, mantenendo salde le scene fondamentali dell'originale, a partire da quella iniziale del matrimonio (cinico e fatidico momento scelto per aprire senza tanto clamore il vaso di Pandora), ma dando agli eventi dei risvolti non del tutto simili.
Eccoci allora a seguire (di nuovo) i dubbi e le incertezze di Michael, uomo alla soglia dei trent'anni, fidanzato e presto padre, che rimane turbato ed affascinato dall'incontro con la giovane Kim (la star di "The OC" Rachel Bilson) e della sua cerchia di amici, inguaribili Peter Pan, come Chris (stanco delle liti quotidiane con la moglie) oppure Izzy (ancora innamorato della ragazza dei tempi del liceo, ma non più ricambiato).
Dietro la macchina da presa viene chiamato Tony "Ghost" Goldwyn, certamente più famoso per il suo ruolo nel celebre omonimo film che non per la sua carriera dietro la macchina da presa. Ma a non convincere, più che la regia non diremo anonima quanto piuttosto sobria, è tutto il resto della pellicola.
La sceneggiatura, scritta dalla mano esperta di Haggis, scivola via troppo rapidamente, senza cercare di capire la vera origine del malessere dei protagonisti, trentenni con la paura di restare intrappolati in convenzioni e legami o della crisi che, alla soglia della vecchiaia, colpisce i genitori di Kim, laddove il film di Muccino quantomeno arrivava (forse con eccessivo zelo) a mostrarci i germi del disagio generazionale. E non bastano un piglio più volgare di alcune scene iniziali o la presenza scenica e la faccia di Zach Braff, anche se qui meno convinto che nel suo esordio alla regia, quel "
La mia vita a Garden State" che sembrava più sincero, se non anche più personale. Non basta nemmeno un cast, che seppur può contare su spalle di lusso (Blythe Danner, Tom Wilkinson e soprattutto Casey Affleck), non convince del tutto, a partire dalle due protagoniste femminili (Jacinda Barrett e Rachel Bilson), le classiche faccine pulite da commedia americana che invece dovrebbero essere il fulcro di tutta la vicenda.
Di certo una scelta può essere approvata ed è quella di modificare il finale, che pure rimane aperto (e che non sveleremo), ma non lascia la spiacevole sensazione, dopo tante belle parole, di essere stati presi in giro. Resta comunque il fatto che, al ritmo di una colonna sonora (rigorosamente scelta da Zach Braff) a tratti pop, a tratti con pretese più indie (
Coldplay, Snow Patrol,
Fiona Apple,
Imogen Heap), "The last kiss" passa. Ma non rimane.