"Usate la vostra libertà per promuovere la nostra" (Aung San Suu Kyi)
C'è stato un tempo in cui la Birmania era un centro culturale e commerciale pulsante del Sud-est asiatico. Il primo Segretario Generale delle Nazioni Unite non occidentale fu il birmano Maha Thray Sithu U Thant. Nel 1962, però, venne il colpo di stato del generale Ne Win a mescolare le carte e a decidere le sorti di innocenti. Da allora la Birmania è conosciuta come una delle dittature più impenetrabili e segrete del mondo, dove la libertà si immola nell'oppressione, dove i computer sono banditi e le conquiste democratiche sono la Fata Morgana di un popolo vessato da trent'anni di dittatura militare. "The Lady" si insinua in un contesto obnubilato nel buio per fare luce su un'eroina contemporanea, Aung San Suu Kyi, leader del movimento democratico birmano (LND, Lega Nazionale per la democrazia) e premio Nobel per la Pace nel 1991. Aung San Suu Kyi ha guidato le spinte libertarie di questo popolo fino alle prime elezioni libere in cui conquistò una vittoria schiacciante, che, però, l'Esercito si rifiutò di accettare e decise l'arresto per Suu e i suoi collaboratori. Da quel momento la sua vita sarà scandita da quindici anni di arresti domiciliari (fino al 2010).
Luc Besson realizza un biopic tradizionalista e intrinsecamente didascalico, mette da parte visionarietà e eccessi in favore di uno stile che sembra aver tratto insegnamento dall'aplomb pacato della leader birmana, per quanto è corretto e lineare e rispondente a quella tendenza del cinema di Besson di scendere a patti col grande pubblico. La lady à la Besson non è solo la guida di un movimento politico, ma anche una donna-mamma. La dimensione umana di Suu acquista ampio spazio, e il melò sovrasta l'impegno politico. Il ritratto che ne viene fuori è sì quello di una donna che lotta al fianco di un popolo, ma anche quello di una donna che ha sposato una causa e per fedeltà ad essa ha rinunciato a rivedere suo marito sul letto di morte e ad accudire i suoi figli. Aung San Suu Kyi è un personaggio perfetto per il regista francese: tornita di un corpicino esile - che rimanderebbe a una potenziale fragilità - rivela, invece, tutta la sua forza in quella compostezza imperturbabile che l'ha resa famosa. All'apparenza fragile, in realtà forte, è il genere femminile declinato da Besson: "Leon", "Nikita", "Il quinto elemento", "Giovanna d'Arco". E sono le loro interpreti ad emergere: Michelle Yeoh - attrice asiatica ormai consacrata - ha assimilato e trasposto - riuscendo a sottrarsi agli isterismi della performance sopra le righe - una Suu placida ed elegante, che si è imposta a guida di un popolo con la sola forza delle idee. Approcciarsi alla storia del Myanmar e della sua paladina non è facile, non solo per la complessità del contesto che si va a esacerbare - facile cadere nella retorica, nella mistificazione o nella spettacolarizzazione, è ancora lucido il ricordo di "The Iron Lady" - ma anche perché la segretezza imposta e vigilata dal regime rende la conoscenza un esercizio impervio. Luc Besson si è affidato, infatti, ai documenti redatti da Amnesty International e alle testimonianze di alcuni volontari birmani. Il regista francese ha fotografato, con inserti documentaristici, la Birmania nella gratuità della violenza e nel colorato folklore delle sue eterogenee etnie: Suu si muove fin nei villaggi più sperduti della sua terra, accolta tra fiori e donne giraffa.
"The Lady" ha il suo limite nel didascalismo da libro di storia, ma il pregio di raccontare senza calcare la mano nella retorica una storia che chiede di essere conosciuta. Quella del popolo birmano - che come altri, ma diversamente da altri - lotta e resiste per avere riconosciute quelle conquiste democratiche che a noi sembrano così scontate, tanto da gridare della loro assenza al primo colpo di tosse.
cast:
Michelle Yeoh, David Thewlis, William Hope, Sahajak Boonthanakit
regia:
Luc Besson
distribuzione:
Good Films
durata:
145'
produzione:
Europa Corp., France 3 Cinéma, Left Bank Pictures
sceneggiatura:
Rebecca Frayn
fotografia:
Thierry Arbogast
montaggio:
Julien Rey
musiche:
Eric Serra