Mohamed è un ragazzino di Gaza con il sogno della musica. Grazie alla sua voce straordinaria e ad una notevole perseveranza, combinate a un po' di fortuna e ad un piccolo aiuto dai suoi amici riuscirà a trionfare ad Arab Idol, diventando un simbolo di riscatto per un'intera nazione.
Il parkour è una disciplina nata nelle banlieues parigine dai figli degli immigrati arabi, che combina una ferrea disciplina fisica e mentale, il perfetto controllo del proprio territorio e la necessità quotidiana di fuggire dagli sbirri. Una breve ricerca di video vi mostrerà le prodezze che i praticanti del parkour compiono saltando di palazzo in palazzo, volteggiando sui cornicioni e arrampicandosi sull'esterno delle terrazze. Come praticare questa disciplina a Gaza, dove i palazzi vengono sistematicamente tirati giù dai bombardamenti, dai tank e dalle ruspe israeliane? In una delle scene più impreviste di "The idol" Mohamed è messo in allarme da dei ragazzi che fuggono ma poi sorride quando si accorge che stanno facendo parkour arrampicandosi e saltando su e giù per le macerie lasciate da "Piombo fuso", l'attacco israeliano del 2012.
Il film è un melò e una storia di successo. Ci sono numerosi momenti struggenti - legati soprattutto alla sorella di Mohamed - ci sono i momenti di difficoltà superati appellandosi all'amore e all'amicizia, c'è il valore della famiglia. Nella migliore tradizione del cinema popolare gli elementi semplici e importanti delle nostre vita sono il centro della narrazione. E come in ogni melò la tensione non è continua, ma ci sono momenti molto comici (il collegamento via Skype) e sequenze di azione in cui Mohamed si ritrova involontariamente a fare parkour per sfuggire via via a criminali palestinesi, militanti di Hamas, e perfino al servizio d'ordine della tv egiziana. Tutto funziona a dovere. Non solo, l'ultima parte del film riproduce fedelmente le dinamiche "crea emozione" dei talent show canori popolari in tutto il mondo e anche in Italia - i concorrenti, il pubblico da casa, i commenti dei giudici. Quindi se questi vi emozionano, vi emozionerà "The idol". E' un film lineare, efficace e coinvolgente. Se vi piace la musica araba vi piacerà ancora di più, ma non è obbligatorio.
A partire dalla scelta del soggetto è chiaro che siamo di fronte a un film più semplice, accessibile ma volendo anche un po' più patinato rispetto al precedente, eccezionale "Omar". Si vuole giustamente accedere allo stesso pubblico dei talent, e ci si riesce senza piegarsi allo stile televisivo, ma usando tutte le tecniche del cinema, dal montaggio alla variazione di scala delle inquadrature. Insomma le emozioni della televisione amplificate dal buon cinema.
Ma ci sono almeno altri due livelli di lettura. Ancora di più che nel precedente film, l'occupazione israeliana non è il centro, ma è uno sfondo costante. Ci troviamo pur sempre in un territorio in cui le corse in bicicletta dei ragazzini sono interrotte dai muri di filo spinato di un esercito straniero, in cui guardando fuori dal finestrino vedi strade di macerie, in cui mangiando un kebab ti cade l'occhio sui mutilati di guerra, e i ragazzini devono farsi arrivare una chitarra dai tunnel sotterranei perché il valico di Rafah è bloccato ancora una volta. Ma l'occupazione israeliana si rivela in tutta la sua assurda violenza se i soggetti dell'occupazione non sono rappresentati come vittime o combattenti, ma come persone normali, che sognano e suonano vanno a scuola stanno male e si innamorano. Questo disinnesca la narrativa della diversità irriducibile che nutre ogni guerra e ogni colonialismo.
Il terzo livello, complementare al secondo, è quello meta-cinematografico. Abu-Assad è un regista palestinese di fama mondiale (due volte candidato per il premio Oscar come miglior film straniero) e si ritrova quindi ambasciatore di un paese e di una condizione. Come Kechiche in "Venere nera" rifletteva sul suo status di regista arabo in Francia attraverso una storia vera, così Abu-Assad ha vista riflessa in Mohamed Assaf la sua condizione. Amare la propria terra, ma voler essere conosciuto soprattutto per la propria arte. La crisi di panico data dalla responsabilità di Mohamed, forse il momento più intenso del film, è facile immaginare rispecchi lo stato d'animo di Abu-Assad. E' già difficile fare ottimi film, è incredibile fare ottimi film in una nazione martoriata, ma fallo caricandosi sulle spalle la nazione medesima deve essere a tratti insostenibile.
Detto questo, fregatevene. Andate a vedere "The Idol" perché è un bel film emozionante. E se ce la fate, recuperate anche "Omar".
cast:
Tawfeek Barhom
regia:
Hany Abu-Assad
titolo originale:
Ya Tayr El Tayer
distribuzione:
Adler
durata:
100'
produzione:
Doha Film institue
sceneggiatura:
Hany Abu-assad
fotografia:
Ehab Assal
montaggio:
Eyas Salman
musiche:
Hany Asfari