Il tanto dark e tanto fantasy "The Head Hunter" è un prodotto a bassissimo budget e lo si scopre quasi subito. La prima morte rimane fuori campo come gran parte del resto del film. Potrebbe non essere un problema, tutto dipende da come il regista Jordan Downey si approccia al restante minutaggio (cioè i circa 70 minuti rimasti dopo l'incipit).
Il regista che esordisce con due (!) film su tacchini parlanti assassini ("Thankskilling"), si lascia sedurre dalla cupezza di un mondo fantasy: un guerriero solitario giura vendetta contro la creatura che gli ha ucciso la figlia. Armato di spada e di un unguento marcissimo in grado di rigenerare le ferite, la caccia alle teste comincia.
Ma non si va da nessuna parte e qui il primo problema del film: una stasi forse anche intenzionale ma tremendamente fiaccante. L'unico personaggio in scena risponde a necessità di ristrettezza economica e dunque si limita a starsene in un'abitazione isolata ad attendere la richiesta di una nuova caccia da parte di una città del regno, sperando di misurarsi con la creatura odiata. Downey sa che le dinamiche d'azione non gli sono concesse, ecco perché preferisce indugiare sui dettagli macabri, coltivando l'amore per l'horror. Sono gli oggetti di scena a raccontare il mondo e la missione del nostro eroe solitario. Effettistica speciale rigorosamente palpabile, dettagli sul make-up di pelle squarciata, litri di sangue denso, scheletri di animaletti e teschi nel terreno.
Però non basta inquadrare l'armamentario oggettistico, serve dargli una forte valenza attraverso l'utilizzo della grammatica cinematografica e di questo "The Head Hunter" sembra mancare. La regia latita tra l'interno (la casa) e gli esterni (foreste, torri in lontananza, distese d'acqua) laddove il padre vendicativo si sposta senza dare l'idea di movimento, anche dove dovrebbe esserci. Il world building lascia a desiderare soprattutto quando le trovate sono un'ombra di drago e una sagoma di troll in lontananza. Non funziona poiché sono lì per dirci a tutti i costi che il mondo è colmo di entità fantastiche e null'altro.
Molto meglio il variegato muro di teste che il guerriero allestisce a nuovo dopo ogni caccia. Un ciclo quest'ultimo sempre uguale a sé stesso ripetitivo e scarsamente riempitivo. Se anche l'obiettivo è raccontare il prima e dopo l'atto di caccia violento, attraverso la preparazione prima e la cura delle ferite poi, la ripetizione annienta il pathos rivelando una scarsità di contenuto.
Un lampo di vita questo moribondo (e non è una cosa buona) fantasy horror lo acquisisce nel finale inanellando una serie di sequenze stavolta interessate a concedersi, raccontare della vendetta e soprattutto attraverso un crescendo della capacità di Downey di esprimersi con tutti gli elementi del genere (in notturna, non è semplice). Ancora una volta "The Head Hunter" lascia parlare il fuori campo e al culmine degli eventi la regia si esalta, trova la carta vincente per stupire (il last stand nel buio però confonde). L'espressività è spesso delegata al sonoro: gradevole quando si tratta del design dei rumori ambientali (la finestra cigolante, i passi pesanti, i sospiri nell'oscurità) mentre è soffocante nelle note didascaliche della composizione musicale.
L'indipendenza produttiva e il miracolo di aver portato a compimento un lavoro di genere non salvano purtroppo un film promettente ma vuoto, certamente innamorato di quello che mostra ma logorato da una fiacchezza espressiva del suo autore.
cast:
Christopher Rygh
regia:
Jordan Downey
distribuzione:
Vertical Entertainment
durata:
72'
produzione:
Brayne Studios, Detention Films
sceneggiatura:
Kevin Stewart, Jordan Downey
fotografia:
Kevin Stewart
montaggio:
Jordan Downey
costumi:
André Bravin
musiche:
Nick Soole