Ci sono molti criteri per giudicare un'opera cinematografica, anche nell'economia della filmografia del suo autore. Però bisognerebbe sempre tenere presente ciò che l'opera in questione si pone come obiettivo. Ad esempio, se un film ha il dichiarato scopo di intrattenere il pubblico e poi in effetti si rivela spassoso e spettacolare si può dire che tale obiettivo sia raggiunto anche se magari il regista del film si è fatto conoscere a livello internazionale per opere di altro tenore. È il caso di "The Great Wall", coproduzione sino-americana, diretta dal regista due volte Leone d'Oro a Venezia, Zhang Yimou, la più costosa pellicola mai realizzata da un regista cinese. Costato 150 milioni di dollari, "The Great Wall" ha trionfato ai botteghini cinesi ma se la sta cavando anche sui mercati occidentali, per quanto critici, blogger e opinionisti vari si divertano a liquidarlo come opera stupidotta o comunque priva di vero interesse a livello artistico. Per carità, Zhang Yimou, una delle voci più conosciute della cosiddetta "quinta generazione" di registi cinesi, sarà ricordato per altri lavori e sicuramente chi lo ha imparato a conoscere ai tempi dei suoi trionfi nei festival internazionali con "
Lanterne Rosse" e "Storia di Qiu Ju", non se lo sarebbe probabilmente mai immaginato come un "regista su commissione" (qualcuno ha pure parlato di "regista di regime", anche se, come ricordato prima, qui si tratta di un'operazione, diciamo così, globale, anche se ovviamente pensata per sfruttare l'invitante mercato dell'ex celeste impero); però Zhang, evidentemente, negli ultimi anni ha voluto utilizzare il grande credito guadagnatosi con le prime importanti affermazioni per dimostrarsi un "metteur en scene" eclettico capace di misurarsi con qualsiasi genere e budget. Del resto i suoi fortunati e fastosi affreschi come "
Hero", "
La foresta dei pugnali volanti" e "La città proibita", pur essendo opere più interessanti e riuscite, sembravano in qualche modo già prepararci per il gigantismo di "The Great Wall". È comprensibile che i cinefili guardino con nostalgia ai geometrici teoremi in cui raccontava le contraddizioni della Cina prima e dopo la Rivoluzione ma è anche chiaro che nel frattempo la carriera del regista ha preso strade diverse arrivando negli anni non solo a realizzare una spettacolare cerimonia di apertura delle olimpiadi, ma anche a poter disporre di finanziamenti che, almeno per quanto riguarda i registi del Far East, sembravano accessibili solo per John Woo e Ang Lee.
Vero
passion project del produttore Thomas Tull, storico collaboratore di Christopher Nolan, che ha provato per anni a realizzarlo, "The Great Wall" è tratto da un soggetto firmato, fra gli altri da Edward Zwick, che inizialmente avrebbe anche dovuto dirigerlo, quasi a voler realizzare una variante in chiave fantastica del suo "The Last Samurai". Infatti il film racconta di William e Ballard, due mercenari europei (gli americani Matt Damon e Pedro Pascal, i cui casting hanno suscitato polemiche e per quanto i due attori non si possano certo definire al meglio delle loro potenzialità, restano pretestuose le accuse di "whitewashing", visto che il soggetto prevedeva da sempre protagonisti occidentali), in Oriente alla ricerca della "polvere nera", nuova arma mirabolante la cui fama si sta spargendo velocemente. I novelli, per così dire, Marco Polo però, invece di arrivare alla corte del Gran Khan si fermeranno alla Grande Muraglia dove scopriranno che l'imponente costruzione non serve soltanto a bloccare gli attacchi da parte delle popolazioni confinanti: ogni sessanta anni i mostri alieni Tao Tei scendono dalle montagne e attaccano nel tentativo di raggiungere la capitale, dove potrebbero seminare morte e distruzione. I due malcapitati avventurieri si riveleranno decisivi nella controffensiva alle minacciose creature, guadagnandosi la stima degli ufficiali asiatici, in particolare quella del comandante Lin, amazzone dal volto di Tian Jing, attrice che si afferma senza difficoltà sul resto della compagnia, della quale farebbero parte anche nomi noti come Willem Dafoe e Andy Lau, a ribadire, se ce ne fosse bisogno, che Zhang ha una mano felice nello scegliere le interpreti femminili.
"The Great Wall" non entrerà a far parte dei grandi film di questi anni ma chi lo ha realizzato probabilmente non aveva neanche questo tipo di ambizione e se è giusto ipotizzare come una storia di questo tipo in mano ad esempio a Tsui Hark o Chen Kaige forse avrebbe raggiunto risultati più felici, perché sarebbero stati in grado di sfruttarne meglio anche gli aspetti più stravaganti, bisogna però riconoscere a Zhang Yimou di avere saputo rispettare il potenziale spettacolare del progetto, specie nelle scene di massa. Se i mostri in CGI sono abbastanza di maniera, notevole è la cura nei costumi e negli interni, così come la bravura dei due direttori della fotografia, Stuart Dryburgh e Zhao Xiaoding (complice del regista già in diverse occasioni) nello sfruttare i cromatismi, quasi un omaggio, su larga scala, ai film che Li Han Hsiang realizzava per gli Shaw Brothers. Il pubblico di qualunque continente con tutto questo ha sicuramente la possibilità di divertirsi. Quelli che cercano proposte più autoriali devono senza dubbio rivolgersi altrove.
25/02/2017