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recensione di Stefano Santoli
8.5/10

Get Back” accorpa in quasi otto ore, accuratamente restaurate, centinaia di ore delle sessioni di registrazione del gennaio 1969, in cui vide la luce il materiale che finirà nell’album “Let It Be” (pubblicato nel 1970 dopo “Abbey Road” – che, nel gennaio 1969, non era ancora stato concepito). Sessioni che sinora erano state ritenute disgraziate e fallimentari. Quei giorni, secondo le più accreditate esegesi (Ian McDonald, “The Beatles. L'opera completa”, 1994), non condussero da nessuna parte, partorendo un disco di livello non altissimo e contribuendo in misura significativa alla fine della band.

Le sessioni avrebbero dovuto concludersi con uno show televisivo, che avrebbe dovuto sancire il grande ritorno della band (non si esibiva più da tre anni). Per documentare il tutto, era stato appositamente affittato uno studio e chiamato il regista Michael Lindsay-Hogg. Ma le sessioni nel grande studio si interruppero: i Beatles dopo pochi giorni preferirono tornare agli ambienti più confortevoli della Apple, abbandonando un luogo non familiare. L’esibizione televisiva fu cancellata, si optò per un concerto estemporaneo e non autorizzato sul tetto della Apple.
Il lavoro di montaggio di Jackson di questo celebre concerto sul tetto (sul quale già si concentrò il film che alla fine ne fu tratto da Lindsay-Hogg, "Let It Be", 1969) fa ampio ricorso allo split-screen, dando modo di assistere contemporaneamente all’esibizione e ai suoi spettatori. Mentre i Beatles suonano, assistiamo allo scompiglio per strada, a interviste che catturano le reazioni dei passanti e all’impacciato intervento delle forze dell’ordine, chiamate per disturbo della quiete pubblica, che faticano a introdursi nell’edificio e a raggiungerne il tetto per porre fine al concerto. Qui potrebbe venir facile una metafora (in realtà solo una suggestione): l’intervento della polizia è come spegnesse il sogno dei Sixties. Ma non è questa la storia che “Get Back” racconta.

I Beatles avevano davvero in mente, in quel gennaio, una storia, un tema da raccontare con un documentario. Paul, in particolare, aveva in mente un futuro per la band. È lui che si sforza di tenere vivi i Beatles. O almeno, quelli che ha in mente lui. Il lavoro di montaggio di “Get Back” ci mostra spesso i Beatles interrogarsi sul farsi del documentario. Constatano l’assenza di materiale significativo, commentano gli stenti a far emergere la narrazione quale l’avevano in mente. Ossia il progetto, caldeggiato da Paul McCartney, di tornare alle origini (get back), abbandonando le registrazioni ricche e stratificate degli ultimi album a favore di un rock’n’roll viscerale in presa diretta, come dal vivo.

Finzione vs. creazione. Menzogna vs. verità?

E invece. Vedendo “Get Back”, si capisce che questo bel racconto faticava a farsi realtà: non era proprio aria, sarebbe stato una menzogna. “Get Back” è allora più di quello che avrebbe dovuto essere all’epoca. È una rivincita della realtà dei fatti. Una storia c’era, naturalmente: ma non era quella che Paul e gli altri avevano in mente. Questa storia è - niente di più, niente di meno - quello che stava avvenendo. Le dinamiche interne di una band che sta per esplodere, e nel frattempo si sforza di resistere, creare. La storia che “Get Back” racconta (i protagonisti non la potevano conoscere, mentre avveniva) è anche Storia, ma che nessuno aveva ancora conosciuto con la completezza e ricchezza di dettagli che offrono le tante ore di materiale selezionate da Peter Jackson.

“Get Back” mette in scena lo scontro fra una serie di opposti. L’intenzione di raccontare una storia contro una vicenda che prende una strada diversa. La finzione (l’intenzione di documentare, tramite mezzi audiovisivi, una cosa che non sarà) si scontra con l’autenticità (musicale) della creazione. Finzione vs. creazione? Anche. La finzione sta nell’atto intenzionale, perciò stesso artefatto, di documentare una realtà precostituita. Perciò artefatta in partenza. La creazione artistica, quale si produce sotto i nostri occhi, è invece autentica: è invenzione, puro atto creativo intrinsecamente genuino.
In “Get Back” sono state pulite alcune registrazioni audio che catturano dialoghi che i Beatles non avevano voluto rendere udibili, intenzionalmente. Ci è così possibile vivere qualcosa di assolutamente raro: assistere a dinamiche autentiche e prive di filtri di qualcosa avvenuto oltre 50 anni fa. Lindsay-Hogg, tra l'altro, aveva registrato anche all’insaputa del gruppo (ciò è evidente quando ascoltiamo solo l’audio di una registrazione effettuata nascondendo il microfono in un vaso di fiori).

“Get Back”, con i suoi tempi dilatati, le sue stasi, i suoi indugi, cattura davvero il processo creativo: le sue pause, i ripensamenti, i cambi di direzione. Segue la trasformazione di un progetto, quello di Paul che vuole unire la band e portarla avanti e non ci riesce. C’è improvvisazione, incertezza, indeterminazione: parti del processo creativo. La lunga durata fa sì che si percepisca veracemente, come difficilmente accade in altri documentari analoghi, tutta l’aleatorietà della creazione. “Get Back” non è, mai, celebrativo, come di solito queste operazioni, tese a mostrare il making of di un’opera.
Si tratta di un momento chiave, di svolta, di una delle band più importanti della storia, in cui le personalità dei quattro emergono molto chiaramente, e si vedono divergere. La determinazione e la dedizione di McCartney. La stralunatezza, sardonica e sarcastica, di Lennon (sempre e costantemente accompagnato da Yoko Ono). Lo scazzo di Harrison, che apre la crisi del progetto iniziale abbandonando gli studi, e poi rientra nel gruppo, paziente. La tranquilla indolenza di Ringo. Il ruolo di Billy Preston, invitato da Harrison a partecipare alle registrazioni alla Apple, la cui presenza estranea si rivela fondamentale a spronare la band, a superare lo stallo e vivificare il processo creativo.

Principio di indeterminazione

Eppure… Sopra a ogni cosa, è evidente come i Beatles si sentissero costretti a registrare, perché avevano affittato una troupe, che ormai sta lavorando. Ne sono circondati, giorno dopo giorno. E non ne sono entusiasti. Le performance di quel gennaio avvengono perché sono innescate dal fatto stesso che le stanno registrando, e sono in corso le riprese. Qualcosa dovevano fare. Se non ci fosse stato qualcuno a riprendere costantemente, può essere che quelle performance non sarebbero avvenute in quel modo. Non sarebbero avvenute proprio? Sarebbero avvenute in modo diverso?
Dimostrazione evidente dell’impatto determinante che ha - su esibizioni e performance – il fatto di essere ripresi, è il concerto sul tetto. Prima di esibirsi, i Beatles sono ancora indecisi se farlo. In questo momento sono liberi (be’… quasi): non hanno affittato una sala, non hanno venduto biglietti, non hanno impegni. Ma c’è pur sempre qualcosa che li condiziona. Ed è la spinta di tutto un “circo” che si è messo in moto e si muove attorno a loro. Lindsay-Hogg ha preparato tutto accuratamente: ha collocato di nascosto nove videocamere sui tetti di fronte, per strada, al piano terra, una nascosta nella hall... Se il montaggio del concerto in split screen è splendido, quel che è davvero interessante è la ricostruzione di quello che viene prima, la preparazione del concerto stesso, che ci permette di comprendere con evidenza inconfutabile come il farsi realtà di qualcosa che viene catturato da una macchina da presa sia sempre, inevitabilmente e in larga misura, il frutto di una messa in scena. Ovvero il prodotto della consapevolezza che quel che si va a mettere in scena sarà oggetto di documentazione visiva.

Estendendo questa constatazione a tutto “Get Back”, l'intero documentario è la costante messa a fuoco dell’impatto dell’essere registrati sulla registrazione, in cui l'intenzione si scontra con l'azione. Dinamica che fa da innesco anzitutto al processo creativo, prima ancora che a una performance.


06/12/2021

Cast e credits

regia:
Peter Jackson


titolo originale:
The Beatles: Get Back


distribuzione:
Walt Disney Studios


durata:
460'


produzione:
Apple Corps, Polygram Entertainment, Walt Disney Pictures, WingNut Films


montaggio:
Jabez Olssen


musiche:
The Beatles


Trama
Il documentario percorre tutto il mese di gennaio 1969, seguendo la creazione dei brani che sarebbero stati contenuti nell'ultimo album dei Beatles, "Let It Be", concludendosi con le riprese della prima esibizione dal vivo dopo tre anni, il celebre concerto sul tetto
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