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6.0/10

Dopo il magnifico “Holy Spider”, il regista iraniano naturalizzato danese Ali Abbasi realizza, insieme a Gabriel Sherman che ha curato la sceneggiatura, un film riguardante l’educazione e l’affermazione sociale di Donald Trump. Il lungometraggio è diviso in due parti: la prima relativa al vero e proprio “apprentice”, cioè l’apprendistato durante gli anni Settanta del giovane rampollo della famiglia Trump al capitalismo senza freni e inibizioni di marca U.S.A., mentre la seconda è ambientata nei successivi anni Ottanta e vede Donald oramai padroneggiare quanto imparato dal suo maestro, lo spregiudicato e disonesto avvocato Roy Cohn.

A metà strada tra il dramma sociale e il biopic, “The Apprentice” racconta l’educazione all’abominio morale del futuro presidente a stelle e strisce che diventa la storia della definitiva perdita di ogni inibizione e principio di solidarietà sociale da parte di un’intera nazione: drogati di miti di auto affermazione fondati sul totem del successo a ogni costo, tanto Donald quanto la società in cui vive rinunciano a qualsivoglia moralità per abbandonarsi a una nuova forma, nociva e pericolosissima, di narcisismo patologico.

La prima parte del film riprende molto dello stile filmico del periodo in cui è ambientato: la macchina da presa insiste sul degrado urbano e sulla sporcizia che permea la città di New York degli anni Settanta, soffermandosi su accattoni da strada e quartieri fatiscenti, oltre a fare uso del teleobiettivo al fine di schiacciare il giovane Donald sul contesto, impedendogli visivamente di distanziarsi e di emergere dagli altri essere umani e dagli edifici ripresi, ricordando “Un uomo da marciapiede” di John Schlesinger. I colori sono soprattutto cupi e virano particolarmente sul grigio e rosso, richiamando visivamente “Mean Streets” di Martin Scorsese, contribuendo a generare un effetto claustrofobico, accentuato anche dalla costruzione delle inquadrature in ambienti colmi di persone, oltre che poco luminosi. La seconda parte, ambientata nel decennio successivo, è invece meno interessante visivamente, dato che colloca i personaggi soprattutto in interni più ariosi e spaziosi, nonostante il gusto oscenamente kitsch dei coniugi Trump per l’arredamento domestico.

Oltre alla regia, impreziosiscono il film anche le belle musiche, scelte per caratterizzare il periodo in cui sono ambientate le vicende e per suggerire lo scorrere degli anni, insieme alla bravura attoriale dei due attori centrali. Sebastian Stan è capace di aderire alla persona reale di Trump in modo camaleontico, mentre Jeremy Strong realizza l’interpretazione migliore del lungometraggio, basata sulla costruzione di una personalità opposta a quanto mostrato in “Succession”: se in quest’ultimo indossava i panni di un individuo impegnato in una lotta titanica per affermare se stesso a discapito del proprio padre tirannico, qui fa l’opposto, interpretando un “padre adottivo”, uno squalo desideroso di distruggere chiunque si frapponga fra lui e il successo ma, al contempo, capace di nutrire affetto per il giovane Donald tanto da fargli da mentore e da maestro, finendo tuttavia col farsi distruggere dalla sua creatura, capace di ritorcergli contro i suoi stessi insegnamenti.

Se le capacità recitative dei due attori protagonisti e la forma con cui viene raccontato questo percorso di dannazione sono gli elementi di maggior pregio del lungometraggio, il contrario si può affermare per il contenuto, dato che pecca di un eccessivo didascalismo: Trump è presentato come un demone perché agisce in modo malvagio senza una vera motivazione se non quella del desiderio fine a se stesso (e quindi assurdo) del successo.

Il film medesimo esplicita questa contraddizione: nella scena finale, quando Donald incontra uno scrittore pagato per scrivere la sua autobiografia, quest’ultimo gli chiede informazioni sulla sua infanzia, ma il futuro presidente risponde che non ama rivangare il passato e che è interessato solo al presente. Allo stesso modo si comporta il film: non cerca di capire il protagonista ma lo condanna come se fosse il responsabile di ogni iniquità, finendo inevitabilmente per qualificarsi come un prodotto contenutisticamente dozzinale perché troppo semplicistico e reo di avere l’unico scopo di demonizzare il personaggio politico con una narrazione smaccatamente di parte.

Così facendo, inoltre, il film deraglia dall’ambito artistico e diventa un atto politico, mostrando una volta in più la sua carenza contenutistica: non è possibile pensare di spostare voti infangando deliberatamente un individuo e, inoltre, il personaggio di Trump è costruito in modo talmente irrealistico da diventare una semplicistica macchietta priva di qualsiasi profondità e animata unicamente dal desiderio di arricchirsi e di accumulare potere. Anche questo aspetto viene esibito alla fine del film: lo scrittore domanda a Trump perché sia così interessato a fare affari e quest’ultimo gli risponde che il motivo è unicamente il fatto di essere bravo a farli.

Dunque, ancora una volta, non viene esibita nessuna motivazione logica: il protagonista è raccontato come fosse un demone venuto sulla Terra per distruggerla, corrompendo, rubando, molestando e calpestando la dignità di chiunque lo conosca e gli capiti a tiro. Oltretutto ci riesce benissimo, raggiungendo un successo enorme, cosa che, al massimo, potrebbe generare ammirazione invece che condanna, soprattutto in un ambito come quello statunitense, ossessionato (come il protagonista) dal successo a ogni costo. Tutt’al più Trump assurge a emblema del capitalismo senza freni di marca statunitense, in particolare nelle sue concretizzazioni neoconservative che ebbero luogo soprattutto dagli anni Ottanta e che stanno purtroppo mietendo ancora vittime in tutto il mondo.


20/10/2024

Cast e credits

cast:
Sebastian Stan, Jeremy Strong, Maria Bakalova, Martin Donovan, Ben Sullivan


regia:
Ali Abbasi


titolo originale:
The Apprentice


distribuzione:
BiM Distribuzione


durata:
120'


produzione:
Scythia Films, Profile Pictures, Tailored Films


sceneggiatura:
Gabriel Sherman


fotografia:
Kasper Tuxen


scenografie:
Aleksandra Marinkovich


montaggio:
Olivier Bugge Coutté, Olivia Neergaard-Holm


costumi:
Laura Montgomery


musiche:
David Holmes, Brian Irvine, Martin Dirkov


Trama
L'apprendistato e l'ascesa di Donald Trump.