La prima sequenza di "The Animal Kingdom" sembra essere li per confermare la tendenza già evidenziata nel precedente "Fighters - Addestramento di vita", e cioè di come il cinema di Thomas Cailley trovi nel racconto di genere la forma più adatta per veicolare il particolare della sua poetica, quello che fa del sistema di relazioni presenti nell’ecosistema una lente deformante capace di fare il punto sullo stato di salute del pianeta. Che si tratti di mettere in relazione i legami famigliari e sentimentali, caratterizzati dal percorso di emancipazione dei figli dai propri genitori o che si guardi oltre, allargando lo sguardo al rapporto - deteriorato - tra l’uomo e il proprio habitat con un’urgenza ambientalista che non diventa moda da cavalcare - rimanendo sempre sullo sfondo rispetto alla priorità delle vicissitudine affettive -, la costante del regista è quella di far entrare in conflitto l’ordinario con lo straordinario. Di fronte alla catastrofe della realtà (lo era soprattutto quella di Fighters - Addestramento di vita) Cailley infatti sceglie persone comuni che alla pari di altre sono costrette a farvi fronte. Senza vantare particolari talenti e non essendo predestinati ne eroi, i personaggi di Cailley meritano il palcoscenico per una diversità che rinuncia al proprio ego (All’Arnaud di "The Fighters" faceva proprio difetto) a favore di una sensibilità in grado di prendersi cura dell’altro. Così faceva Arnaud con Madeleine nel corso del cataclisma apocalittico di "The Fighters", parimenti si comportano padre e figlio - vicendevolmente e nei confronti di terzi - nel corso degli aventi che scandiscono le vicende di "The Animal Kingdom".
La scena che apre il film non potrebbe essere più spiazzante, soprattutto per la capacità del regista francese di rifarsi a una situazione classica del cinema mainstream, mantenendone intatta la forma ma ribaltandone il senso ultimo (al contrario di quanto visto in "A Quiet Place - Giorno 1") . Se la modalità con cui prende corpo la presunta minaccia è uguale a quella vista in tanti prodotti hollywoodiani sulle invasioni aliene e nelle serie dedicate a mostri come Godzilla, con i protagonisti costretti ad abbandonare la macchina nel traffico metropolitano in cerca di rifugio, diverso è il significato, con lo schema tra vittima e carnefice destinato a vedere invertite le posizioni di partenza dei personaggi al termine della scena.
Un principio, quello di depistare lo spettatore sulla vera essenza del suo cinema, che riguarda anche il rapporto tra il contenuto del racconto, incentrato sulla mutazione che trasforma gli esseri umani in ibridi animali e la struttura narrativa. Così, se negli eventi che ne caratterizzano la trama il nuovo lavoro di Cailley appare diverso dal film che lo ha preceduto, in realtà "The Animal Kingdom" inizia laddove l’altro aveva finito. Se infatti "The Fighters - Addestramento di vita" raccontava di un paradiso "riconquistato" e della catastrofe che vi poneva fine, ridisegnando certezze ed alimentando nuovi dubbi, "The Animal Kingdom" ce ne mostra le conseguenze, raccontando cosa succede dopo il cataclisma, ovvero la capacità del mondo di reagire a un simile scenario adattandosi al mutamento del quadro generale. Una coerenza che trova corrispondenza anche sul piano stilistico, laddove l’ordinata compostezza e la ricerca di geometrie del primo, segno di un’armonia che sta per essere sconvolta, è sostituita da una mdp meno programmatica e più libera di seguire la discontinuità e i ritmi sincopati di una realtà in pieno caos. Ai colori iperreali e ai toni da commedia romantica di "The Fighters", sintomo dell’innocenza che precede la tragedia, subentra in "The Animal Kingdom" una fotografia quasi documentaristica destinata ad annunciare la fine del sogno e ancora di più una realtà indomabile, pronta a imporsi con la sua incombente complessità.
Indecifrabile al punto da cancellare all’interno del film qualsiasi teorizzazione sulle origini del virus e più in generale di formulare ipotesi su cause e rimedi rispetto al diffondersi della mutazione, "The Animal Kingdom" preferisce lasciare spazio all’umano e a un sentimento di solidarietà camusiana, quella che davanti al dramma dell’esistenza trova un senso alla vita nel sostegno e nella condivisione. Filosofia che si palesa nel rapporto tra Francois (interpretato da un ottimo Romain Duris), il padre di Emile, impegnato nella ricerca della moglie in parte già trasformata in animale e Julia (l’iperattiva Adèle Exrchopoulos), poliziotta che cerca in qualche modo di aiutarlo anche a discapito della legge, e che al contrario delle aspettative tipiche del genere Cailley evita di trasformare in una storia d’amore.
Cailley gira con un rigore che aderisce al principio di verosimiglianza del film, e dunque non si spaventa del fare del grande schermo - soprattutto nella seconda parte -, uno spazio nero in cui come nella notte del regno animale tutto diventa indistinguibile, compresi i suoi abitanti, presenti ma invisibili. Rispetto al primo film "The Animal Kingdom" risulta meno efficace nel tentativo di essere allo stesso tempo stesso cinefilo e popolare, così come la sceneggiatura risulta più convincente nel definire lo spazio dell’azione che nell’alimentarne le energie. Ciò detto "The Animal Kingdom" conferma quanto di buono si era detto alla prima uscita del regista francese, lasciando lo spettatore con la voglia di continuare a seguirne il percorso nella speranza che i tempi d’attesa non siano lunghi come quelli necessari a realizzare il suo ultimo lavoro.
Presentato in anteprima come film di apertura della sezione Un Certain Regard del 76° Festival di Cannes, "The Animal Kingdom" ha ottenuto dodici nomination alla 49esima edizione dei Premi César vincendo cinque statuette: Migliore colonna sonora, Miglior sonoro, Migliore fotografia, Migliori costumi e Migliori effetti speciali.
cast:
Romain Duris, Adèle Exarchopoulos, Paul Kircher
regia:
Thomas Cailley
distribuzione:
I Wonder Pictures
durata:
128'
produzione:
Nord-Ouest Films, StudioCanal, France 2 Cinéma, Artémis Productions
sceneggiatura:
Thomas Cailley, Pauline Munier
fotografia:
David Cailley
scenografie:
Julia Lemaire
montaggio:
Lilian Corbeille
costumi:
Ariane Daurat
musiche:
Andrea Laszlo De Simone