Estasi dell'ibridazione, metallo che innerva la carne, immagini velocissime che come scariche cinetiche si alternano a ripetizione. L'immaginario tecnorganico di Tetsuo irrompe nuovamente sullo schermo con la sua buona dose di violenza. Ed infatti oggi come nel 1989 il visivo truce e angoscioso, il sonoro fatto di rumori metallici e destabilizzanti dominano la scena. Sono infatti passati vent'anni esatti da quando un giovane regista giapponese divenne autore di culto in tutto il mondo con la storia di un comune impiegato che, in seguito ad un misterioso contagio, iniziava a trasformarsi in un androide.
Shinya Tsukamoto ritorna, quindi, sul suo uomo d'acciaio per il terzo capitolo della saga e decide di farlo con un piglio rivelatore, a tratti un po' didascalico. Quasi sentisse la necessità di spiegare ciò che ieri era lasciato al simbolico, all'immagine feroce e violenta, decide di rivelare il perché e il come una persona normale possa trasformarsi in un ammasso di ferro, fumo e liquido bollente. E' logico allora che "Tetsuo: The Bullet Man", a differenza del passato, non possieda il carico di novità visiva, la potenza eversiva del nuovo, ma conservi la stessa propensione ad aggredire la percezione dello spettatore, lo stesso piacere nello scuotere lo sguardo di chi osserva. Se nei due capitoli precedenti la sperimentazione visiva incrociava l'urlo iconoclasta della periferia urbana e la metropoli giapponese degli anni ottanta diveniva il luogo dove la perdita di identità, il toyotismo, la solitudine coatta e la spersonalizzazione dell'individuo si incontravano, o sarebbe meglio dire, si scontravano in un'opera subliminale e allucinatoria. In questo nuovo film l'attenzione si sposta su tematiche più "attuali" come la critica all'industria bellica e alla guerra. Argomenti non certo nuovi, ma passati sotto il maglio del regista di Tokyo assumono forme e significati nuovi.
Il resto è tutto affidato al talento visivo dell'autore. La sceneggiatura infatti è spesso ridondante e francamente un po' banale. Sembra in più circostanze un mero pretesto, uno spunto sul quale l'estro del regista può sbizzarrirsi a piacimento. Così la fotografia gelida, il montaggio composto da inquadrature rapidissime e inserti che sanno di video arte producono sequenze difficili da dimenticare. Le scene di combattimento sono poi un tripudio di camera a spalla: il berserk androide salta da una parte all'altra facendo strage di corpi speciali che lo contrastano in una confusa orgia di sangue, proiettili e ferraglia fumante. Insomma quasi un
divertissement estetico, un gioco concettual-visivo sembra quello messo in piedi da Tsukamoto. Le conseguenze sono chiare: il risultato non è certo il meglio della produzione del regista, ma impressiona, come sempre, per il coraggio e per la coerenza che dimostra. Fedele a se stesso, al suo stile inconfondibile, l'autore gira un horror/fantascientifico forte e visionario ennesimo gradino di un percorso unico.
30/11/2009