Oramai è diventata una moda e, a ben vedere, anche la scorciatoia più immediata per rimediare alla mancanza d'idee da parte delle parti in causa. Rifare sempre lo stesso film, aggiornandolo quel tanto che basta per adattarlo agli umori del momento, in fondo è la cosa più semplice, e permette alle Majors di sostituire i registi con gli executive producers, in un processo creativo che - come insegna il caso di Paul Schrader con il suo "Il nemico invisibile" appena arrivato sugli schermi - ha più a che fare con le strategie di mercato che con le regole dell'arte. La conquista del botteghino è, non a caso, il fine ultimo di "Terminator Genisys", ultimo capitolo della saga dedicata all'indistruttibile Cybor , arrivato dal futuro per determinare le scelte di Sarah Connor, la donna che darà alla luce il salvatore del mondo, colui che sarà chiamato a liberarlo dal dominio delle macchine, sfuggite al controllo dell'uomo, diventato schiavo delle sue stesse creature. Dicevamo dell'importanza del box office e, di conseguenza, della necessità di rivitalizzare il principale motivo d'interesse del progetto, ovvero il minaccioso distruttore interpretato ancora una volta (e non potrebbe essere altrimenti) da Arnold Schwarzenegger, ritornato stabilmente al cinema dopo la parentesi politica, e intenzionato a restarci il più possibile, se è vero che la conclusione del film lascia pensare a un nuovo corso delle avventure legate al suo personaggio.
Che, dobbiamo dire, rappresenta, con i cambiamenti legati al suo modus operandi, la cartina di tornasole dell'evoluzione di una saga costretta ad abbandonare la drammaturgia delle origini, quelle che faceva del primo T800 un killer asettico e spietato, e che invece gradualmente ma in modo inesorabile, è diventato il primo difensore di colei - Sarah Connor - che era stato chiamato ad uccidere. Legata a ragioni commerciali e a un brand che per restare competitivo aveva bisogno di mantenere in vita la sua principale attrazione, la trasformazione, iniziata nei capitoli precedenti, arriva qui al suo punto di non ritorno, con il rapporto tra la donna e il Terminator, ripensato dagli sceneggiatori in una chiave casalinga e famigliare, legittimata non solo dall'intimità delle dinamiche interpersonali ma anche dall'affettività degli appellativi utilizzati da Sarah, che ad un certo punto del film inizierà a rivolgersi al personaggio interpretato da Schwarzenegger chiamandolo "Papà". Sotto questo profilo "Terminator Genisys" rappresenta una vera e propria rifondazione, che finisce per condizionare il film anche dal punto di vista estetico, per la presenza di una fotografia fatta di colori caldi e di superfici riflettenti - laddove il prototipo dell'84 aveva una consistenza " opaca e metallica" - perfettamente coerenti con le caratteristiche del nuovo sodalizio.
Diversamente la trama non riesce ad andare oltre la sterile esposizione di una struttura narrativa che, partendo da un futuro lontano e dopo una serie di tappe intermedie, arriverà al 2017, anno in cui la genesi del male si chiama Skynet, il network che alla pari del grande fratello orwelliano progetta di prendere il sopravvento sulle esistenze degli uomini; le cui sorti dipenderanno appunto dalla capacità dei nostri di opporsi alle strategie delle perfide macchine. Nulla di nuovo dunque ma neanche di male, se non fosse che, durante il suo percorso, "Terminator Genisys", non si lascia indietro nulla, accumulando scontri, confronti, morti e resurrezioni che fanno il pieno di effetti digitali e di un sensazionalismo disposto a tutto pur di rimangiarsi l'originale spirito d'indipendenza della saga, che, ricordiamo, era riuscita a nascondere i limiti finanziari, lavorando di sottrazione e su situazioni archetipiche che l'opulenza di quest'ultimo prodotto non riuscirebbe, neanche volendo, a replicare. D'altronde a fare differenza Alan Taylor neanche ci prova; basti pensare al modo in cui il regista rende uno dei momenti topici del film, quello in cui Kyle Reese (il terzo membro della squadra), in ragione di uno dei tanti paradossi temporali, si ritrova di fronte a se stesso e ai propri genitori senza riuscire a organizzare una reazione emotiva che non sia la stessa, sbrigativa e monocorde, utilizzata dal personaggio in tutte le altre situazioni che la storia gli propone. Una democrazia da action movie contemporaneo che in fondo si addice a un prodotto certamente non peggiore di altri, ma che, nella sostanza, tradisce in qualche modo l'epica della fabula legata alle vicende di "Terminator".
cast:
Arnold Schwarzenegger, Emilia Clarke, Jai Courtney, Jason Clarke
regia:
Alan Taylor
distribuzione:
Universal Pictures
durata:
126'
produzione:
Paramount Pictures, Skydance Productions
sceneggiatura:
Laeta Kalogridis, Patrick Lussier
fotografia:
Kramer Mortenthau
scenografie:
Neil Spisak
montaggio:
Roger Barton
costumi:
Susan Matheson
musiche:
Lorne Balfe