La traduzione italiana del titolo è di quelle che a prima vista fanno scartare un film. Il gioco tra parole e pronuncia (bepolar - polar bear) è rimpiazzato da una banalizzazione che dovrebbe semmai - non per forza - spettare al commento sintetico di un giornale. Ma se riusciamo a superare lo scetticismo indotto dal titolo saremo premiati da una storia originale, per il suo modo di parlare sia d'amore che di follia senza eccedere nell'una o nell'altra direzione, rinunciando ai colpi di scena in favore di una bizzarra, ma ordinaria, quotidianità.
Scritto e diretto da Maya Forbes, sceneggiatrice e produttrice televisiva al suo esordio cinematografico, "Infinitely Polar Bear" è stato presentato in anteprima al Sundance Film Festival nel gennaio del 2014 e ha partecipato a numerosi altri festival, tra cui quello di Toronto, Vancouver e Deauville, in Francia.
La regista si è ispirata alla sua infanzia trascorsa a Cambridge, nel Massachussets, quando viveva con la sorella insieme al padre, che soffriva di un disturbo bipolare. La madre nel frattempo, proprio come Maggie (Zoe Saldana) nel film, studiava alla Columbia Business School di New York.
Protagonista assoluto del film è Mark Ruffalo - due volte candidato all'Oscar come attore non protagonista, quest'anno per il bel film di Bennet Miller "
Foxcatcher - Una storia americana" e nel 2011 per "
I ragazzi stanno bene" di Lisa Cholodenko - capace di gestire una parte complicata, per non dire follemente tenera. Ottimo il feeling con le due bambine: Amelia (Imogene Wolodarski, figlia della regista) e Faith (la piccola Ashley Aufderheide). Sottotono invece la prova di Zoe Saldana, irrigidita più del necessario in un ruolo che la vede deviare dalle naturali vocazioni di madre. Wallace Wolodarsky, marito della Forbes, è attore e anche produttore esecutivo, insieme - tra gli altri - a J.J. Abrams.
Il film può dividersi in tre parti: una prima parte più drammatica, che inizia nel 1978 e introduce al disturbo di Cameron (Ruffalo); una parte centrale in cui Cameron si trova a dover accudire da solo le due figlie; e una parte conclusiva in cui si tirano le somme delle scelte compiute dai personaggi.
La parte centrale concentra diciotto mesi - il tempo che Maggie (Saldan) trascorre alla Columbia Business School di New York - ed è a sua volta suddivisa in stagioni. E farcita di filmati in super8 che sì, accentuano la malinconia dei ricordi, ma sono più un innesto storico (insieme ai costumi e alle musiche di Thedore Shapiro) che non un'idea funzionale al soggetto.
La maggior parte della storia si svolge nella casa in cui Cam e le due bambine vivono e in alcuni luoghi del quartiere (come l'entrata della scuola, il campo di basket) che segnano l'evolversi della storia stessa e la trasformazione dei personaggi - soprattutto di Cam - e della famiglia. All'inizio del film le inquadrature sono più strette e schiacciate, e si allargano poi con il distendersi del rapporto tra padre e figlie. Lo spazio però resta chiuso: dentro la casa, dentro l'auto, nel parcheggio recintato dove Cam e le bambine lasciano la macchina per andar incontro a Maggie. Soltanto alla fine lo spazio si apre, in un'esterna soleggiata e commovente, che ha il sapore della resa dei conti.
Il"disordine psichico" di Cam si esplicita nei suoi progetti cominciati e abbandonati, nelle sue sfuriate estemporanee, nel suo assillante prodigarsi verso i vicini, nel disordine della casa che malgrado gli sforzi riprende il sopravvento. I fallimenti di Cam sono costanti, eppure altrettanto costante e percepibile è la profonda integrità che lo anima. Sia ad esempio la scena in cui sua nonna, una ricca nobile di Boston, vuol regalargli la Bentley: mentre la vecchia è illuminata da una luce angelica che rende ancora più grottesca l'offerta, Cam - pur attirandosi il biasimo delle figlie - rifiuta e se ne va.
Il bipolarismo è una patologia grave ed è probabile che la Forbes abbia rappresentato la sua storia in un modo meno drammatico, ma ciò non toglie alcun merito al padre che ci ha voluto raccontare. Anche la finzione ha i suoi requisiti di credibilità e Cam li rispetta appieno. L'amore per le figlie e il desiderio di riconquistare la moglie alimentano la sua trasformazione e gli consentono di aggiungere alla collezione di fallimenti, anche qualche successo.
Alla fine è evidente come ogni personaggio abbia rinunciato a qualcosa di importante e come, proprio in forza di queste rinunce, si crei un equilibrio armonico e benefico per tutti. Maggie rinuncia ad essere madre. La decisione di affidare le figlie a Cam, dimesso dall'istituto psichiatrico e in fase di riabilitazione, per quanto sembri rischiosa e azzardata, dev'essere letta nel contesto sociale e storico, oltre che personale: siamo negli anni '70 e Maggie è una donna afroamericana che vive a Boston, una città bianchissima, e perciò il suo desiderio di riscatto, unito all'orgoglio femminile, le impongono di evolversi, di accettare la borsa di studio e garantire così un futuro migliore anche alle figlie, a costo di non poter star loro vicino. Cameron rinuncia a Maggie, come moglie, come amante, e accoglie il dono di crescere le figlie e vivere con loro. Amelia e Faith rinunciano in parte alla madre, ma è grazie a lei se possono frequentare una scuola prestigiosa e costruirsi delle ambizioni; e rinunciano a un padre ideale, cioè normale, ma possono contare in ogni momento sulla sua presenza, per quanto questa possa assumere forme imprevedibili.