Tim Burton torna alle vecchie abitudini dark calcando territori che meglio gli si addicono? Non del tutto vero: di recente il cineasta ha dato prove di assoluta maturità, trovando chiavi di lettura non sempre pronosticabili in passato: si pensi alla profonda poesia emersa dal suo capolavoro "Big Fish". E "Sweeney Todd" è un ennesimo tassello di una carriera che può dirsi ormai distante da un andazzo monotematico. E' pur presumibilmente vero che Burton ha sempre avuto un debole per il genere musical, già sperimentato per i suoi due lavori animati, così come per le incursioni canzonettistiche de "La fabbrica di cioccolato", ma di certo non aveva mai preso di petto la questione come in questo caso, dove ci troviamo di fronte a personaggi che interagiscono principalmente cantando: i dialoghi sono difatti cuciti nelle canzoni stesse come accadeva in certi film di Demy o in "Parole, parole, parole..." di Resnais, sebbene sia alquanto fuorviante equiparare "Sweeney Todd" ai due modelli francesi citati.
"Sweeney Todd", vincitore di otto Tony Award nel 1979, è ormai da anni un celebre musical di Broadway, scritto da Hugh Callingham Wheeler e con le musiche di Stephen Sondheim.
Si narra che Tim Burton, da sempre amante di questa opera teatrale, abbia regalato a Johnny Depp un nastro contenente la colonna sonora originale, e che soltanto dopo diversi anni i due abbiano deciso di trasportarla sul grande schermo.
Se la storia del barbiere assetato di vendetta, in una Londra raramente tanto tetra, sembra comunque tagliata su misura per Burton, paradossalmente il primo punto debole del tutto paiono proprio le musiche originali, tra l'altro reinterpretate in maniera apprezzabile da Johnny Depp, Helena Bonham Carter e dal resto del cast: si ha un appiattimento del materiale (peraltro appena datato) dal passaggio teatro-grande schermo. In questo modo anche l'evolversi della vicenda si appiattisce: l'interazione tra immagini e parole si fa prolissa. E' come se al cinema il musical di Broadway si trovasse molto più a proprio agio con il proprio versante brillante da commedia degli equivoci.
"Sweeney Todd", che di comico ha ben poco, avanza a fatica, e in questo senso sarebbe stato preferibile qualche taglio in più: considerando che l'opera non prevede un vero e proprio approfondimento psicologico, un avanzare degli eventi spedito a passo più elevato avrebbe giovato: ne è testimone una parte finale quasi liberatoria, dove finalmente, pur se frettolosamente, lo sciogliersi di tutti i nodi si getta a capofitto in un bagno di sangue gustosissimo e dove il divertimento dello spettatore può finalmente avere la meglio.
Tim Burton si era già precedentemente fatto carico di materiale non originale, trovando spunti per fare propri personaggi e tipologie differenti, sapendoli rendere profondamente umani, protagonisti di un cerchio di anime gentili se non commoventi. In "Sweeney Todd", con presumibile volontà, sembra aver abbandonato questi suoi distinguibili tratti, puntando tutto sul contenitore. E se il fattore tecnico fornisce un inappuntabile contributo (le scenografie dei nostri Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo sono state premiate con gli Oscar) rendendo l'esteriorità di notevole spessore, si rimpiange quell'intensa umanità, in passato riscontrata con puntualità.
Bisogna anche tener conto che "Sweeney Todd" è un film che non somiglia a nessun altro, e non soltanto nell'itinerario registico di Burton. Motivo per il quale sarebbe il caso di dedicare almeno una visione a una pellicola lontana dai grandi film del regista, ma comunque dignitosa e tutt'altro che priva di interesse.
29/04/2008