Martin Kazinski è un uomo buono. Ci si passi il termine, ma lo descrive precisamente. Soprattutto perché spesso si fanno coincidere bontà e ingenuità. Banale, lo definisce il giornalista che lo intervista nel suo programma roboante di seconda serata scatenando una serie di polemiche. Un uomo ingenuo, indifeso, impreparato all'incubo in cui si ritrova una mattina quando in metropolitana tutti cominciano a fotografarlo, a filmarlo col telefonino, a chiamare il suo nome, a chiederne l'autografo. Si ritrova trasformato in superstar, sulle pagine dei giornali, sui siti internet, in una metamorfosi che sarebbe kafkiana, ma Martin continua a chiedersi perché, un interrogativo che attraversa in maniera quasi ossessiva il film di Giannoli. La fama improvvisa lo conduce a conoscere Fleur, che lo porta di fronte alle telecamere del programma televisivo per cui lavora sperando di aiutarlo a trovare una ragione e di realizzare un grande show.
Il film di Giannoli, liberamente tratto dal romanzo "L'idole" di Serge Joncour, sembra espandere all'ennesima potenza quello che Allen aveva solo accennato in un episodio di "
To Rome With Love". La fama, all'improvviso e senza ragione, divora la vita di un uomo qualunque, timido e impreparato, incapace di reagire, alla ricerca di una ragione inesistente. Punta il dito contro il mondo dei media, del web virale, di internet 2.0, dell'invasività dei social network, dei gossip, dei reality show, della tv spazzatura e di un certo giornalismo grossolano dove la vita di perfetti sconosciuti diventa di dominio pubblico e argomento di dibattito. Ma Martin non vuole essere famoso, il che lo rende ancora di più una vittima sacrificale, esaspera il paradosso: un nessuno che diventa qualcuno pur non volendo. Vive e subisce sul proprio corpo la tortura a cui viene sottoposto, l'incubo angosciante che lo inghiotte. Dall'amore malsano della gente al disprezzo, però, il passo è breve. A osservarlo e a contribuire involontariamente a trascinarlo in questo abisso, il personaggio di Fleur, piena di ideali e di buone intenzioni, ma sconfitta a sua volta, con la sua vita sentimentale confusa segnata dal rapporto col produttore Jean-Baptiste, che, non a caso, per fare l'amore con lei deve tenere la tv accesa, anche lei bisognosa di un urlo liberatore.
Peccato che il film, dopo una partenza brillante e capace di divertire, di disegnare in modo efficace i contorni freddi dell'incubo moderno, smarrisca un po' la strada e ritardi a concludere divagando in una seconda parte un po' ostica, che si incaglia da un punto di vista narrativo quando la scrittura era stata il punto forte. La regia di Giannoli rimane perfettamente equilibrata e dinamica . Ottimo cast, con Kad Merad vestito quasi sempre allo stesso modo, al limite del cartoon e capace di scolpirsi nello sguardo lo smarrimento del protagonista, e Cécile De France, sempre al centro di film significativi. Menzione anche per Louis-Do de Lencquesaing, faccia da schiaffi, nel ruolo del produttore senza scrupoli, personaggio comunque sfaccettato rispetto a quello che si sarebbe portati a credere.
"Superstar" mescola umorismo e tragedia, ma racconta soprattutto il panico dell'omologazione in un meccanismo perverso e crudele. Giannoli si è detto affascinato dal fatto di poter far incontrare Hitchcock e Kafka per descrivere un uomo qualunque sopraffatto da una situazione assurda, da un'avventura più grande di lui nella quale si ritrova senza conoscerne il motivo. Ha aggiunto di aver voluto raccontare i corto circuiti moderni che si innescano alla ricerca della visibilità, della condivisione, in una gara dove tutti fanno la propria playlist, in un mondo lanciato come un treno in corsa dove la parola star ha smarrito il suo significato.