Se si volesse cercare un fil rouge che leghi i film di Hong Kong presentati in questa edizione del Far East Film Festival, esso andrebbe probabilmente individuato in una marcata nostalgia per il passato della città e dei suoi miti (ad esempio "Hand Rolled Cigarette") e una rappresentazione cupa, se non apertamente apocalittica (si pensi a "Limbo"), del presente dell’ex-colonia britannica. In attesa di poter recensire, dopo che sarà uscito in patria, il probabilmente più rappresentativo dei film al riguardo, ovvero "Coffin Homes" di Fruit Chan, è comunque interessante rivolgersi a un’altra commedia horror dai tratti metacinematografici, l’esordio alla regia del fotografo e sceneggiatore televisivo Sunny Lau "Sugar Street Studio". Questo è ambientato in uno studio cinematografico, abbandonato dopo un misterioso incendio doloso e ora convertito in ristorante, che un produttore ambisce a trasformare in una casa degli orrori, in modo da poter girare un film che funga da promo e così creare un franchise redditizio e al contempo far lavorare le maestranze alle sue dipendenze, in primis il team di esperti di effetti speciali al centro della pellicola. Che questa storia sia molto simile a quella dello sviluppo dello stesso "Sugar Street Studio" non dovrebbe a questo punto stupire, data la natura esplicitamente metalinguistica del progetto, più di quanto non stupisca il fatto che la casa degli orrori si riveli effettivamente infestata da spiriti in cerca di giustizia.
L’elemento orrorifico è tuttavia messo rapidamente in secondo piano, così come gli spettri che infestano l’ex-studio sono spesso ignorati dai protagonisti, a un certo punto della trama gli unici frequentatori dell’edificio a non averli incontrati, e serve semmai a giustificare l’importanza degli effetti speciali nella narrazione e nella connotazione dei personaggi e permettere di parlare di fantasmi, che beninteso sono quelli della Hong Kong che fu e del suo glorioso cinema di genere. In un contesto in cui le collaborazioni con l’enorme industria cinematografica della Cina continentale sono l’unico modo di avere un sicuro successo, la maggior parte dei produttori e dei registi è disposta a seguire le stringenti norme di censura del cinema cinese (che ad esempio guarda con sospetto la presenza di elementi sovrannaturali, tradizionalmente centrali nel cinema di genere hongkonghese), come viene mostrato in varie gag nel corso della pellicola, ironizzanti sull'effimerità e instabilità della Settima arte. Un’alternativa è la commercializzazione spudorata che non esita a trasformare un luogo dalla storia tragica in un’attrazione per ragazzi alla ricerca di facili emozioni e di qualcosa di interessante da postare su Instagram, tanto che a un certo punto anche i veri spettri, i quali terrorizzano effettivamente i visitatori, diventano una sorta di contenuto premium della casa stregata, su cui vengono costruiti un ulteriore business e un’ulteriore retorica.
Ma "Sugar Street Studio" non è neanche in primis un film di denuncia o di critica sociale, quanto soprattutto una commedia surreale che adopera tutti i principali cliché del cinema dell’orrore (hongkonghese ma non solo) per costruire un variegato, e variamente efficace, insieme di gag e battute, irrobustita inoltre da una marcata componente sentimentale, evidente soprattutto nel finale e nel lungo flashback che aiuta il protagonista a comprendere ciò che è realmente avvenuto nel giorno dell’incendio. La divertita distanza dell’elemento metalinguistico non allontana mai la pellicola di Lau dalla sua sfacciata adesione al cinema popolare e ai suoi topoi, inserendo progressivamente all’interno della serie di momenti comici e di sequenze horror volutamente non spaventose una componente investigativa tesa al disvelamento del mistero della casa stregata, la cui soluzione proviene, prevedibilmente dato l’indirizzo narrativo e ideologico del film, proprio dal passato, sia in forma di analessi rivelatrice, sia di effettiva azione dei fantasmi che ottengono così la loro agognata vendetta. Così l’improbabile love story fra due spettri diviene infine il vero nucleo narrativo della pellicola, indirizzando il caotico racconto verso una soluzione morale e narrativa, mentre i cliché dell’horror restano solo per confermare nel finale la natura di franchise del progetto.
Ma parliamo pur sempre di un film che tratta di specialisti di effetti speciali, comparse e spalle comiche, piccoli produttori alla ricerca di un progetto che dia una svolta alla loro carriera e degli outsider della società, quindi anche ciò che resta ai margini ha importanza nella logica della pellicola, sopravanzando forse anche il suo stesso nucleo tematico. Questa ode agli elementi marginali dell’industria cinematografica, e non solo, si può ritenere venga concretizzata nella pellicola dalla varietà e ricchezza di effetti speciali, scoperti e artigianali (anche quando digitali) come quelli del passato cinema di genere di Hong Kong, e dal profluvio di eccentrici personaggi secondari che riempie i densi e mai tediosi 90 minuti di "Sugar Street Studio". Tuttavia, in quello che è anche un percorso di maturazione per i quattro giovani protagonisti si constata che anche la rimpianta età dell’oro di Hong Kong non è forse mai stata tale e anch’essa ha avuto i suoi lati oscuri, come si evince dalla parabola del divo agé ed eroe cittadino interpretato dalla tramontata star Chan Wok-pong. Privato forse così del suo mito fondativo, il cinema hongkonghese pare destinato a un declino ineluttabile e a conformarsi alle produzioni della madrepatria, situazione concreta di cui "Sugar Street Studio" è sia un commento che anche, paradossalmente, una sorta di reazione, ricco com’è di elementi sovrannaturali e di satira più o meno salace. Di conseguenza, sembra rimanere in una posizione mediana, a metà fra due dimensioni e due tempi come i fantasmi che ne sono al centro, indeciso fra l’omaggio e la sovversione, fra l’eresia e il conformismo. In ogni caso Sunny Lau è un esordiente, si lasci, quindi, che il suo cinema maturi e si evolva, non sia mai che questo parodico e ibrido horror sia l’inizio di una ricognizione rivolta non solo al passato ma anche al futuro di Hong Kong come non ne sono mai state viste.
cast:
Chloe So, Hanna Chan, Yatho Wong, Martin Wong, Matt Chow, Eric Kot, Chan Kwok-pong, Wiyona Yeung, Kaki Sham, Lam Yiu-sing
regia:
Sunny Lau
titolo originale:
Tong Gaai Jai Pin Chong
durata:
90'
produzione:
Alex Dong
sceneggiatura:
Sunny Lau, Kan Pok-chuen
fotografia:
Chan Lok-yin
scenografie:
Rico Cheung
montaggio:
Thomas Y
musiche:
Lai Ying-tong