Fa piacere che molti dei giovani registi esordienti italiani dedichino la loro opera prima alla propria Regione, spesso del Mezzogiorno. Sardegna, Puglia, Basilicata, Sicilia, giusto per ricordarne alcune immortalate a vario titolo in opere che abbiamo avuto la possibilità di apprezzare negli ultimi anni. Sentivamo, in effetti, la mancanza di una fotografia vera e autentica della Calabria, dei suoi silenzi, dei segreti impossibili da rivelare e delle bellezze di struggente passione che questa terra nasconde. Fabio Mollo, a 33 anni, decide di partire da qui, da una Reggio Calabria scissa tra un neorealismo a colori delle giornate di faticoso e operoso lavoro e un onirismo lucente delle sue notti calde e desolate. "Il Sud è niente" è un film ambizioso, appassionato, girato con grande amore per i luoghi che immortala e con viva partecipazione per il dramma umano che mette in scena.
È la storia della diciottenne Grazia, che si divide fra la scuola e la pescheria del padre Cristiano e che tra uno scorcio di realtà e l'altro si perde nel fascino della sua città, riflettendo sulla fine che può aver fatto suo fratello, scomparso tempo prima. Mollo lascia aperto il dubbio sul "giallo" anche allo spettatore, non gli interessa certo risolvere un enigma del genere. Quello che fa, invece, è pedinare il vagare di Grazia, afflitta dalla pesantezza dell'omertà che la circonda, da una famiglia che fa del silenzio una regola consolidata per sopravvivere nonostante la vicinanza della criminalità organizzata.
Il canovaccio di partenza, in verità, non è propriamente originale: anche qui, come altrove, c'è una purezza adolescenziale non ancora compromessa dalla maturità che sfida le consuetudini del territorio, che non comprende e non accetta la perdita data per acquisita di una persona amata. Eppure, nel registro narrativo scelto dal giovane regista reggino, ci sono troppe indecisioni che indeboliscono il risultato finale. C'è, innanzi tutto, una difficoltà, eccezion fatta per i due protagonisti principali, a delineare con precisione e decisione i contorni degli altri personaggi, quasi evanescenti per quanto siano superficialmente abbozzati. Ne è un esempio lampante la figura interpretata da Valentina Lodovini.
Poi, sempre a livello di sceneggiatura, siamo un po' perplessi di fronte alla scelta di assegnare a Grazia delle sembianze fin troppo androgine. Mollo sembra combattuto tra un espediente per accentuare il grado di isolamento della sua giovane eroina nella comunità che frequenta e invece una sorta di simbologia interiore, secondo cui la ragazza sceglie di crescere "da maschio" per rimpiazzare l'inspiegabile e inspiegata assenza del fratello.
Anche sul piano più strettamente registico, il giovane autore è fin troppo audace nello spaziare fra più stili di messa in scena: alla lunga, l'alternarsi del piglio documentaristico e di quello quasi fiabesco restituisce una strana sensazione di straniamento e di impossibilità ad appassionarsi agli eventi.
Eppure, va detto, sia Miriam Karlkvist che Vinicio Marchioni sanno immedesimarsi con assoluta dedizione nei loro ruoli, soprattutto l'attore che dà il volto al padre di Grazia, va detto, riesce a trasmettere una gamma di sentimenti e di sensazioni con poche mosse del viso e pochissime parole. Insomma, Mollo, forse per troppo amore, esagera con la "carne al fuoco" e perde di vista una coerenza dell'insieme del racconto che penalizza l'empatia con la storia, ma l'esordio è promettente e merita delle puntate successive da attendere con fiducia.
cast:
Vinicio Marchioni, Miriam Karlkvist, Valentina Lodovini, Andrea Bellisario, Alessandra Costanzo
regia:
Fabio Mollo
distribuzione:
Istituto Luce Cinecittà
durata:
90'
produzione:
B24 FILM Madakai, Rai Cinema
fotografia:
Debora Vrizzi
musiche:
Giorgio Giampà