Unico film israeliano in concorso alla 69° Mostra del Cinema di Venezia, "Fill The Void" segna l'esordio dietro alla macchina da presa della newyorkese di origini ebraiche Rama Burshtein. La storia ruota attorno a una famiglia ebrea ortodossa che attende il giorno, oramai imminente, del matrimonio di Shira, la figlia più piccola appena diciottenne. Ma la quiete si spezza quando il destino irrompe come un uragano portando dolore e sofferenza: la sorella maggiore di Shira muore dando alla luce un bambino e lasciando vedovo il giovane marito. Il vuoto da riempire suggerito dal titolo originale innesca una serie di problematici ostacoli per la povera Shira, costretta a fare una scelta che probabilmente sarà la più importante della sua vita.
"Fill The Void" ("la sposa promessa" in Italia) è un film rigorosamente lineare, che va dritto al sodo e immerge lo spettatore in un ambiente, quello israeliano, in cui la guerra e l’odio religioso purtroppo annebbiano tutte le potenzialità di un territorio a strettissimo contatto con la cultura e con la tradizione. La missione della Burshtein è allora in principio quella di rendersi portavoce di un messaggio interculturale importante. In conferenza stampa dichiara di essersi lanciata a capofitto in questa avventura per un profondo dolore che portava dentro: "Sentivo che la comunità ultra-ortodossa non aveva alcuna voce nell'ambito del dialogo culturale. Si potrebbe dire che siamo muti. La nostra voce sul piano politico è forte, perfino roboante, ma sul piano artistico e culturale resta debole e soffocata".
La regista affida le chiavi del suo messaggio alla giovane attrice Hadas Yaron, molto convincente nell’infondere quel senso di smarrimento e di spaesamento che percorre l’intera pellicola. Il matrimonio, colonna portante dell’intera vicenda, viene mostrato dettagliatamente agli occhi dello spettatore, con tutta la sua tradizione, come ad esempio il matrimonio combinato o la rigidità delle norme da rispettare (il copricapo posto alle donne sposate). Shira vive questo avvenimento con gioia nella prima parte ma i tristi avvenimenti la condannano presto a una dura lotta tra ragione e sentimento, a una scelta che le cambierà inevitabilmente il resto della sua vita. L'intensa interpretazione dell'incantevole attrice è stata meritatamente ricompensata con la Coppa Volpi che la Yaron si è portata a casa.
La Burshtein pone ampio risalto agli spazi chiusi e privilegia un forte contrasto di luci e ombre, come se i personaggi fossero intrappolati dal loro tragico destino e braccati dallo sguardo vigile degli astanti (i primissimi piani della macchina da presa). Per contro la scelta di donare alle immagini del matrimonio un candore così meravigliosamente puro trasmettono la speranza e la gioia così a lungo attese dalla giovane protagonista. Prima del finale, uno dei più belli e intensi vissuti in ambito cinematografico negli ultimi anni. Realismo, estetismo, obiettività, semplicità. "Fill The Void" avrebbe avuto tutte le carte in regola per spodestare la "Pietà" di Kim Ki-Duk e ambire al Leone d’Oro.
31/08/2012