Oggi, Newcastle. Disoccupato, senza diplomi né qualifiche professionali, Ricky (Kris Hitchen) accetta al volo un impiego come autista indipendente per una ditta di consegne a domicilio. Per pagare un furgone nuovo, convince la moglie Abbie (Debbie Honeywood) a vendere l’unica automobile della famiglia. Uno scanner digitale gli detta tempi e scadenze a ritmi indiavolati; diventare imprenditori di sé stessi non implica diminuire i tempi, quanto piuttosto aumentare i rischi. Mentre l’azione si sviluppa nelle multiple oggettive fisse care alla poetica di Loach, terse e puntuali come specchi, i fragili equilibri familiari vengono ulteriormente compromessi dalle azioni sconsiderate dei figli, Seb (Rhys Stone) e Liza (Katie Proctor).
Dopo il graffiante ritratto al benefit system tracciato in "Io, Daniel Blake", vincitore a Cannes 2016, Ken Loach torna a raccontare le contraddizioni e le disuguaglianze della società contemporanea. Il bersaglio stavolta è la gig economy, il regime di libero mercato in cui i lavoratori vengono assunti in posizioni temporanee per brevi periodi, assumendo le stesse mansioni di un lavoratore dipendente ma anche i rischi e le responsabilità di un libero professionista. Situazione diffusa tra i fattorini di Deliveroo, i corrieri indipendenti di Amazon e altre numerose realtà aziendali, il gig working declina la mobilità sociale a vantaggio delle corporazioni invece che dei lavoratori. Sottopagato, sprovvisto di tutele assicurative e sindacali, avviluppato in un reticolo di multe e scadenze, Ricky è la perfetta esemplificazione di un lavoratore gig – una figura anacronistica, pre-marxista.
Diretto come suo solito, Loach si avvale di un naturalismo rigidamente controllato, costruito su inquadrature statiche, esterni urbani e interni familiari. All’impressione di realismo contribuisce la prova degli interpreti, pienamente credibili come membri della working class per attitudine e accento (elemento che purtroppo si perde con il doppiaggio). Particolarmente efficace la rappresentazione di come la tecnologia, invece di aumentare il tempo libero, abbia fornito alle corporazioni nuovi mezzi per controllare il lavoro dipendente, che senza garanzie sindacali e interventi politici rischia di trasformarsi in una schiavitù 2.0.
Con "Sorry We Missed You", chiaro e feroce come un pamphlet, Ken Loach si conferma un implacabile narratore della modernità, abile (insieme al frequente collaboratore Paul Laverty) a individuare le contraddizioni di una società liquida che si ostina, nei suoi evidenti squilibri, a punire la povertà.
cast:
Kris Hitchen, Debbie Honeywood, Rhys Stone, Kafie Proctor, Ross Brewster, Charlie Richmond, Julian Ions, Sheila Dunkerley, Maxie Peters
regia:
Ken Loach
titolo originale:
Sorry We Missed You
distribuzione:
Lucky Red
durata:
101'
produzione:
Sixteen Films, Why Not Productions, Wild Bunch, BFI, BBC Films, Les Films du Fleuve, France 2 Cinéma
sceneggiatura:
Paul Laverty
fotografia:
Robbie Ryan
scenografie:
Fergus Clegg
montaggio:
Jonathan Morris
costumi:
Jo Slater
musiche:
George Fenton