Sivas è un villaggio rurale turco alle porte della capitale asiatica Ankara. Aslan (il piccolo Dogan Izci che sfodera un'interpretazione da "grande" in grado di bucare lo schermo in più momenti) è un ragazzino undicenne dall'animo vulcanico e intraprendente. Ma è pur sempre un bambino. Vorrebbe lavarsi da solo ma è ancora la madre a occuparsi di lui. L'occasione per crescere, per diventare "grande", capita in una sera come tante altre nella quale Aslan partecipa a quello che è un avvenimento abituale tra gli abitanti di Sivas: il combattimento tra cani.
Prima o poi doveva accadere, e allora eccolo il primo film veramente controverso della Mostra (più di
Tsukamoto), quello sul quale sono piovuti bordate di fischi e indignazioni da parte del pubblico. E non per le scene di sesso che in "Sivas" non esistono, così come non si vedono braccia o gambe mozzate. Lo scandalo è invece lanciato dagli animalisti perché la pellicola si incentra su crude, raccapriccianti battaglie tra Kanglar, bellissima razza di cane pastore inumanamente trasformata in strumento di guerra. Come gladiatori all'interno di un'arena, i cani si sbranano fino a quando uno dei due rimane privo di vita sul terreno. I produttori sottolineano: è tutta finzione, non ci sono stati maltrattamenti sugli animali. Il dubbio però non può che rimanere, la visione testimonia una messa in scena incredibilmente reale.
L'opera prima di Kaan Müjdeci non è di forte impatto solamente per la scelta di incentrare il film su un argomento così atroce. Ad assottigliare la lama del rasoio è proprio la storia di Aslan perché sono gli occhi di un bambino quelli costretti a subire questi indecenti spettacoli. Spettacoli a cui ogni suo coetaneo non dovrebbe mai assistere. La macchina da presa del regista turco non si discosta mai dal bambino, ne segue le tracce come un'ombra monitorando nella crescita personale una continua e intima contesa tra ciò che è moralmente giusto in lui e ciò che invece è sbagliato. Nel villaggio prolifera il gioco dei "grandi" e Aslan apprende in fretta un profluvio di parolacce (troppe, a tratti evitabili), assiste a come si smembra e come si ricompone una pistola, fuma sigarette senza forse esserne capace. A destargli il dubbio di una precoce redenzione è l'ingresso in scena di Sivas, il suo cane che lui protegge e coccola, come quando nella notte lo ripara dal freddo coprendolo con la sua giacca, o quando viene a sapere della sua presunta vendita, fatto che fa esplodere il bambino su tutte le furie, denudandosi in segno di protesta (nella sequenza di gran lunga più avvincente del film). Tutto quello che vorrebbe ma non potrebbe fare con la sua "principessa" Ayse, già promessa al suo rivale Osman.
In realtà, quello che non va in "Sivas" non c'entra assolutamente nulla con i comunque crudeli combattimenti tra animali. La sensazione è che Müjdeci non riesca a creare una caratterizzazione a tutto tondo di Aslan, reso comunque efficace dalla sorprendente interpretazione del giovanissimo attore. Le diapositive di Lassie acuiscono una realtà distante anni luce del classico rapporto cane-bambino, un rapporto dal sapore violento e finanche attraente che si conclude con un nulla di fatto, con un languore che evidenzia poco se non il coacervo di un'infanzia rubata e di un'umanità negata, messe in scena con piglio lento e con una tremolante camera a mano che risalta i piani lunghi e i vasti spazi naturali dell'Anatolia (e che ricordano troppo lo stile di Ceylan). Ma a rimanere a mente, oltre alla già sottolineata prova del protagonista, sono soprattutto l'inconcludenza del personaggio analizzato e i lapalissiani buchi di sceneggiatura (la recita? Il cavallo scomparso?) che un finale seppure aperto non può permettersi di risolvere.
26/08/2014