Diciamolo: nella storia del cinema ancora non si era visto qualcosa di paragonabile a “Sin City”.
Quando un talento visionario come Frank Miller, individuo sinistro entrato da tempo nell'Olimpo del fumetto, stende su carta una delle proprie elucubrazioni metropolitane il film è già lì, bello che pronto: le atmosfere, i colori, le inquadrature, i dialoghi, gli attori, perfino impressioni della colonna sonora, sono già tutti su carta, infilati nei bianconeri abrasivi di Miller. Una sceneggiatura in quattro dimensioni.
Il rischio è però che qualche regista di basso calibro, con poco talento ma fermamente convinto del contrario, venga assegnato al progetto, realizzi una schifezza e limiti quello che era un capolavoro in potenza a rimanere tale, relegata al solo universo fumettistico. Cosa che è successa fin troppo volte nella travagliata storia del rapporto cinema/fumetto o per allargare, cinema/letteratura.
In questo caso il rischio è stato evitato. Forte di ben tre personalità alla regia, Rodriguez come regista ufficiale, lo stesso Miller come supervisore alla traduzione filmica della sua magnifica creatura, e niente meno che sua maestà Quentin Tarantino accreditato come special guest director, ci si sarebbe stupiti se “Sin City” non fosse stato quantomeno un grande film.
Il film attinge a tre differenti storie (più una breve) appartenenti al ciclo di fumetti di Sin City scritto da Miller durante gli anni Novanta. Sono tutti racconti inequivocabilmente neri, aggressivamente neri, che succhiano linfa vitale al noir e a loro volta ne cedono al genere da cui traggono ispirazione: ci sono i cattivi, ci sono i buoni, ci sono i cattivi-buoni, ci sono i poliziotti, le femmes fatales (in quantità tutt'altro che modiche), ci sono preti, stupratori, ubriaconi, assassini, puttane, magnaccia, pedofili e chi più ne ha più ne metta. Quindi del vecchio nonno noir anni 40/50 il nipote “Sin City” eredita tutti i caratteri principali, ma li metabolizza e li restituisce trasfigurati in quella che è, o dovrebbe essere, l'apoteosi del noir moderno. Più cattivo, più volgare, più immediato, più sensuale, più contemporaneo.
La prima storia, che è sia antipasto che dessert del film, è breve e vede come protagonista un killer professionista noto come il Commesso (Josh Hartnett) nell'atto di uccidere l'ex-amante di un gangster (Marley Shelton).
La seconda storia, che si apre per poi interrompersi e riprendere in conclusione al film, ha come protagonista il detective John Hartigan (Bruce Willis), impegnato in una lunghissima e travagliata protezione della bambina e poi adulta Nancy Callahan (Mackenzie Vega/bambina, Jessica Alba/adulta).
La terza storia ruota attorno al personaggio di Marv (Mickey Rourke) e alla vendetta che questi giura di compiere in nome di Goldie (Jaime King), una prostituta che viene uccisa la notte stessa in cui sono stati a letto assieme.
La quarta storia è un intenso crescendo di violenza che si conclude con una spettacolare scena di massacro tra orde di poliziotti e prostitute, su cui svettano le figure di Gail (Rosario Dawson), loro leader, e Dwight (Clive Owen), suo amante.
Il film è in maniera impressionante una trasposizione shot-by-shot (sia in termine di inquadrature, che di colori, che di dialoghi) dell'opera letteraria di Miller, il che forza un po' la regia di Rodriguez, tradizionalmente frenetica e instabile, e che qui è vincolata dai piani intensi ed espressivi del fumetto. Ma la cosa sembra essere più un pro che un contro: si potrebbe dire che il buon vecchio Frank per mezzo del suo fumetto dia lezioni di regia a Rodriguez, che finalmente dopo quindici (quindici!) anni di produzioni di qualità discutibile, sforna quello che si può considerare finora il suo miglior film (assieme all'elegante omaggio ai B-movie, "
Planet Terror"), ma che di veramente suo in fatto di idee narrative e uso della macchina da presa ha ben poco.
Tutt'altro discorso invece per la fotografia, attribuita a Rodriguez, che merita una menzione a parte.
L'aspetto visivo, che ovviamente è quello che più colpisce mentre si guarda “Sin City”, è costruito con attenzione certosina attraverso una serie di strumenti tutti orientati al digitale: primo fra tutti il croma key, che permette di padroneggiare tutte (o quasi) le scenografie in sede di post-produzione. Le riprese sono state effettuate in digitale e a colori: il magnifico effetto coloristico di contrasto bianco/nero, che è la vera anima del film, e del noir più in generale, è stato quindi ottenuto a posteriori, lasciando le violente macchie di colore rosse e gialle dove necessario, seguendo rigorosamente la sceneggiatura fumettistica del maestro Miller.