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7.0/10

Nel profondo della nostra psiche, la rivalità mimetica sfocia nell’identità essenziale di concordia e discordia nelle vicende umane.
L’aspirazione tragica […] ha inizio con il riconoscimento di questa nuda realtà.
"Shakespeare. Il teatro dell’invidia" di René Girard

Il problema di questa terra non è l’odio ma tutto l’amore che si nasconde dietro di esso.
Taher Haider
 

Attenzione spoiler!

Uno degli elementi che caratterizzano il genere tragico è la forte importanza data alla decisione individuale: una scelta che è sempre caratterizzata dall’impossibilità di evitare la sofferenza, dato che le possibilità che si pongono al soggetto razionale sono sempre foriere di dolore, dunque impediscono una risoluzione vantaggiosa per l’individuo che compie la scelta. È esattamente quello che accade a metà esatta di "Shukran", dove il destino pone al protagonista, il cardiochirurgo Taher Haider, la responsabilità di una decisione tragica: viene infatti scoperto che il bambino che ha deciso di operare è, in realtà, il figlio del terrorista che ha trucidato il fratello del medico in un attentato kamikaze.
Poco dopo, il film informa lo spettatore anche del fatto che il villaggio verso cui si sta recando Taher per prelevare il ragazzino da operare è sotto il controllo dei terroristi e, quindi, tutti i bambini in esso presenti vengono allevati per essere radicalizzati alla Jihad. Si tratta dunque di una generazione il cui destino è segnato alla nascita: ad attenderli, senza possibilità di scelta, è la violenza e il sacrificio di sé stessi. La guerra civile che ha colpito la Siria e, al contempo, i fenomeni di radicalizzazione portano le persone a perdere le proprie differenze individuali, risucchiate dal vortice della guerra e della violenza, fino al punto in cui la società piomba nel caos di una generale indifferenziazione violenta. Questa condizione è ben illustrata dalla scena di apertura del film, in cui un manipolo di fanciulli di varie età, dai bambini agli adolescenti, viene educata al martirio, cioè a rendere sacro il proprio corpo trasformandosi in vittime sacrificali immolandosi al fine di sterminare i propri avversari. Si tratta di una situazione caratterizzata dalla totale identità violenta degli individui costituenti la comunità, dunque dalla completa indifferenziazione dei soggetti che la compongono. Come spiega René Girard: «tutti i protagonisti occupano le stesse posizioni di fronte a uno stesso oggetto, non insieme ma a turno. Tale oggetto non è altro che il conflitto tragico [1]».

In questa cornice narrativa, caratterizzata dalla decisione tragica e da un contesto di morte e distruzione, si pone la decisione capitale del chirurgo: quella di spezzare la catena di violenza tramite un ribaltamento del sacrificio, cioè di immolare non il proprio corpo al fine di uccidere il prossimo (e quindi di perpetrare la violenza) ma bensì di sopprimere il proprio desiderio (la vendetta per l’omicidio del fratello e la conseguente volontà di condannare a morte il figlio del suo assassino tramite la sottrazione del proprio aiuto) a favore della vita del prossimo. Ciò permetterà al bambino di vivere una seconda nascita, grazie alla quale il suo futuro sarà segnato non da un destino impostogli dalla catena di violenza in cui si trova sprofondata la società, ma dalla libera scelta. È in questo concetto che viene a stabilirsi la differenza radicale rispetto alla vendetta: il soggetto non solo continua a vivere ma è anche caratterizzato da un’identità reale, cioè non più indifferenziata nella spirale della violenza. È dunque, finalmente e compiutamente, un vero individuo, perché caratterizzato dalla la possibilità di scegliere come differenziare sé stesso.

Questa rinascita non riguarda solo l’individuo verso cui viene indirizzato il proprio sacrificio, ma anche il soggetto stesso di quest’ultimo: il dottore, infatti, sperimenta una trasformazione radicale che inizia quando, spronato dalla perdita del fratello, sceglie di uscire dalla propria routine giornaliera caratterizzata dal lavoro nell’ospedale militarizzato e dal proprio appartamento. Si tratta di un vero e proprio bozzolo che il medico ha chiuso intorno a sé per evitare la tragicità della realtà storica che lo circonda: questo isolamento è determinato anche dal suo stesso comportamento, improntato a una totale mancanza di empatia verso i pazienti e determinato da una fredda e implacabile logica che lo porta a scegliere verso quale degente ha più senso destinare le poche e risicate risorse mediche dell’ospedale, cioè a decidere chi salvare e chi lasciare morire. La staticità e la separatezza che contraddistinguono il chirurgo sono sottolineate dalle scelte di regia, come la propensione alle inquadrature statiche (invece di quelle maggiormente mobili negli esterni successivi, con un uso non sporadico della macchina a mano) e all’illuminazione fredda e spettrale, costruita attraverso l’uso di toni freddi e da inquadrature che ritraggono i personaggi di fronte a fonti luminose che, così facendo, li avvolgono con la luce quasi fossero delle apparizioni fantasmatiche e li separano gli uni dagli altri.

"Shukran" si basa quindi su una serie di binomi fra loro contrapposti: dentro o fuori, morte o vita, sacrificio di sé o del proprio desiderio, razionalità omicida (la logica del medico dentro l’ospedale) o sentimento irrazionale ma vivificante. Il chirurgo cambia quando esce dal proprio bozzo, spronato indirettamente dal fratello, come questi fece direttamente anni prima, durante la loro infanzia. Il racconto del presente è infatti intervallato da piccoli flashback relativi alla fanciullezza dei due e terminanti con la consapevolezza, indotta da Alì, di un principio etico che poi verrà dimenticato dal medico: non è all’uomo che spetta di scegliere chi destinare alla vita o alla morte. Una riflessione che verrà riscoperta e fatta davvero propria da Taher dopo la morte del fratello, scegliendo di darsi completamente al prossimo e indipendentemente da qualsiasi logica razionale: attraversando una zona controllata da terroristi e, al termine del film, ostinandosi nella rianimazione del corpo del paziente nonostante il collega lo sproni a desistere.

Tratta dal romanzo di Giovanni Terzi, "Shukran. Io ti salverò", a sua volta basato su una storia vera, la sceneggiatura del film si caratterizza per la solidità della trama, in grado di facilitare il lavoro del regista esordiente e di catturare immediatamente lo spettatore. Tuttavia, al contempo, si mostra eccessivamente lineare e semplicistica, caratterizzata da una simbologia lapalissiana e didascalica che tende a rendere il film una favola morale.
Nonostante questo piccolo neo, "Shukran" si segnala come un’opera prima di grande valore, sorretta dalla splendida interpretazione del protagonista e da una regia matura, che a tratti si concede sequenze di grande bellezza e complessità, come i minuti al cardiopalma relativi all’attacco al villaggio con le bombe a gas.

[1] René Girard, La violenza e il sacro, Adelphi, Milano, 2008, p. 104.


05/07/2024

Cast e credits

cast:
Shahab Hosseini, Camelia Jordana, Slimane Dazi, Hania Amar, Husam Chadat


regia:
Pietro Malegori


distribuzione:
Eagle Pictures


durata:
90'


produzione:
Addictive Ideas, 3Marys Ent.


sceneggiatura:
Pietro Malegori, Alessandro Valenti, Francesco Lefons, Elia Adami


fotografia:
Tommaso Fiorilli


scenografie:
Alessandra Schilardi


montaggio:
Cecilia Zanuso


costumi:
Lilian Indraccolo


musiche:
Serena Menarini, Alessandro Branca


Trama

Un cardiochirurgo infantile, Taher Haider, è totalmente assorbito dal suo lavoro. Quando suo fratello muore a causa di un attentato terroristico, il medico sarà costretto a fare i conti con la propria vita e con una scelta di enorme difficoltà.