Robert De Niro. Al Pacino. Basta il nome. Insieme formano un'accoppiata mistica, che da sola basta a giustificare l'esistenza di un film (e non il contrario). L'"evento" questa volta è ancora più ingigantito. Sì, questa volta Al & Bob rimangono in scena contemporaneamente per tutto il film, non in una sola sequenza ("Heat") o su due piani narrativi separati ("Il Padrino parte II"). Il pubblico va in delirio, il resto non conta. Il film non conta, è quasi inutile parlarne, perché "Sfida senza regole" verrà ricordato (forse) per un unico motivo: la presenza in simultanea dei mitici divi americani.
Attorno al loro carisma un po' mummificato (Bob ha sempre la stessa smorfia da carogna, Al gioca a fare lo sbirro cinico di "Cruising", "Seduzione pericolosa", "Serpico" e cento altri film), lo sceneggiatore Russel Gewirtz tenta, come nel suo precedente "Inside Man", di costruire un complesso intreccio thriller-noir in cui ciò che viene mostrato allo spettatore non è necessariamente vero, dove la realtà resta sempre inafferrabile, difficile da rintracciare, sedimentata nel passato. Ma lo sviluppo narrativo è macchinoso, pieno di déjà vu e macchiette sugli sbirri sul viale del tramonto ("molti rispettano il distintivo, tutti rispettano la pistola"), poco coinvolgente (il fatto che il personaggio di De Niro "confessi" i suoi peccati sin dalle prime sequenze raffredda involontariamente la tensione), e il "colpo di scena" finale, oltre che prevedibile, è congeniato con poca furbizia (perché nei presunti flashback narrati da De Niro non compare mai un'inquadratura dell'assassino?), ed è una bella presa in giro nei confronti del buon gusto del pubblico.
Poco importa, tanto ci sono Al & Bob. Poca rilevanza ha pure la regia, quindi. Dietro la macchina da presa c'è un mestierante della peggio specie, quel Jon Avnet che forse alcuni ricordano per "Pomodori verdi fritti" e "L'angolo rosso": un perfetto regista anonimo (e quindi assolutamente non problematico) assoldato principalmente per far risaltare al massimo le prove dei due attori-titani, cercando di equilibrare al massimo la presenza sullo schermo dell'uno e dell'altro (e vai di split screen allora). Per il resto la confezione e la messa in scena sono freddi e piatti, ai livelli di un telefilm (probabilmente anche meno), i personaggi sgradevoli e antipatici come capita raramente di vedere, e l'ottimo cast di contorno (John Leguizamo, Brian Dennehy, Carla Gugino) totalmente sprecato.
"Righteous Kill" è soltanto un'operazione di marketing (fallimentare, visti i risultati al box office): dietro i volti annoiati dei due divi si nasconde il vuoto pneumatico.
29/09/2008