In bilico fra tentazioni revansciste e malcelata esterofobia, Renzo Martinelli ha dedicato l'ultima parte della sua carriera alla realizzazione di kolossal a sfondo storico in cui il tema della difesa dell'Identità - sia essa legata alla questione del territorio o a implicazioni religioso-culturali - è trattato con impostazione retorica e sensazionalistica. Dopo l'"epica padana" della cacciata di Federico I dal Nord Italia - il tremendo "Barbarossa" (2009) - il regista brianzolo sceglie di rievocare la campale Battaglia di Vienna (11-12 settembre 1683), lo scontro con cui le milizie austro-polacco-tedesche impedirono l'entrata in Europa dell'esercito ottomano guidato dal Gran Visir Kara Mustafa (E. Lo Verso). Per Martinelli è anche l'occasione di riprendere le fila di un discorso sul rapporto Cristianità-Islam iniziato nel 2006 con "Il mercante di pietre", per chi scrive uno dei peggiori film italiani degli ultimi vent'anni. Ossessionato dalla necessità di usare il passato come veicolo di moniti per il futuro, mette al centro del film due figure esemplari come il cappuccino friulano Marco d'Aviano (F. Murray Abraham, ormai attore-feticcio del regista) e il condottiero musulmano Mustafa, simbolo di un dialogo impossibile fra mondi che paiono troppo diversi per coesistere. E, nonostante l'abbondanza di impennate politically correct - Marco che salva un immigrato turco dal linciaggio, i flashback veneziani in cui vediamo un giovane Mustafa salvare la vita allo stesso Marco -, lascia facilmente capire per chi fa il tifo: tra i personaggi importanti quelli di fede musulmana muoiono tutti. E mentre il beato avianese è tutto dedito ad esibizioni d'umiltà e guarigioni miracolose, il condottiero turco a tratti sembra avere un unico pensiero fisso: trasformare le cattedrali europee in altrettante moschee. Perché come insegna uno dei dialoghi chiave del film - e del Martinelli-pensiero - i Cristiani sentono soprattutto le ragioni del cuore, i Musulmani soltanto quelle della fede. Gli uni uccidono per legittima difesa - e sono celebrati -, gli altri si scagliano in un attacco ottuso di cui non ci vengono spiegate le ragioni.
Se dunque il sottofondo ideologico appare quantomeno discutibile - per non dire volgare -, è tuttavia l'aspetto prettamente tecnico-artistico della pellicola a lasciare interdetti. Da questo punto di vista il cinema di Martinelli è venuto col passare degli anni a configurarsi come un attacco deliberato al buon gusto e al senso della misura. Nel tentativo di adottare uno stile roboante e spettacolare, memore di certo cinema commerciale americano, insiste a riempire i suoi film di riprese acrobatiche, soggettive inspiegabili, ralenti estemporanei, in un tripudio di effettacci malfatti e per nulla funzionali. Un esibizionismo insensato che oltre a soffocare la narrazione sfocia ben presto nel kitsch, tanto piú se si considera l'inevitabile clima da "vorrei ma non posso" di una produzione impossibile da paragonare - per budget e qualità degli addetti ai lavori - ai corrispettivi d'oltreoceano. Le scene di battaglia, oltre a mancare alla base di un senso geometrico-spaziale del movimento, sono realizzate con il massiccio contributo di effetti digitali di qualità bassissima. In generale il livello della post-produzione, fra fondali che sembrano usciti da un videogioco dei primi anni '00 e animazioni in 3D imbarazzanti, è sotto il livello di guardia. E a fronte di una tale inadeguatezza tecnica risulta ancor piú insopportabile la ridondanza che Martinelli infonde ad ogni singola sequenza, anche la massimamente inutile, in nome di un insistito pietismo - vedi le storie parallele del turco Abu'l e della figlia sordomuta - e di una degradante etica di spettacolarizzazione del dolore - l'accessoria scena della guarigione della sorella dell'Imperatore.
La sceneggiatura - scritta dal regista in collaborazione con Valerio Massimo Manfredi -, è tragicamente incapace di dare spessore ai personaggi e carente nel rendere la dimensione dei fatti raccontati. Troppe le leggerezze - la descrizione macchiettistica dell'imperatore Leopoldo I, la mancata indagine delle cause profonde del conflitto - e troppo scadente l'impianto dialogico per dare al film una minima aria di credibilità. Aiuta poco infine un cast discutibile, a partire da un Enrico Lo Verso di straordinaria inespressività. L'impressione finale è quella di un film brutto in ogni senso possibile. Per di più pretenzioso senza poterselo permettere, qua e là arrogante, sempre irritante, opera di un regista che ha poche idee e ben confuse. Un cinema che nonostante tutto - compreso l'ormai consueto flop al botteghino - continua non si sa come a trovare finanziamenti, anche e soprattutto a base di soldi pubblici - in questo caso foraggia, oltre alla Rai, la Regione Friuli Venezia-Giulia. A volte tocca dirlo veramente: certe cose succedono solo in Italia.
cast:
F. Murray Abraham, Enrico Lo Verso, Jerzy Skolimowski, Alicja Bachleda, Piotr Adamczyc
regia:
Renzo Martinelli
distribuzione:
Microcinema
durata:
120'
produzione:
Martinelli Film Company International, Rai Cinema, Agresywna Banda
sceneggiatura:
Renzo Martinelli, Valerio Massimo Manfredi
fotografia:
Fabio Cianchetti
montaggio:
Tommaso Feraboli
musiche:
Roberto Cacciapaglia