Sette César vinti non sono pochi; si tratta infatti dei premi nazionali di una cinematografia - quella francese - che non teme rivali quanto a qualità media delle pellicole prodotte. Non potrebbe esserci, forse, lancio migliore per un film di valore, quale effettivamente è questo "Séraphine", per quanto da noi arrivi con colpevole ritardo - se è vero che la protagonista, dal trionfo ottenuto due anni fa, ha già interpretato una dozzina di ruoli in altrettanti film - e sia distribuito, ma non è certo una novità, in maniera del tutto inadeguata.
L'opus numero tre di Martin Provost è al contempo un ambizioso romanzo storico per immagini e una tenue favola con un finale in bilico tra il lieto e il tragico. Il regista sa raccontare, e sviluppa la vicenda evitando facili artifici retorici quali dialoghi a presa sicura, insistiti momenti melò, confusione dei piani temporali. La storia della servetta pittrice si svolge per blocchi narrativi, separati dai grandi traumi collettivi degli anni dieci e venti del Novecento (Prima guerra mondiale, Grande depressione) cui seguono le relative ellissi che interrompono l'emancipazione artistica e sociale della nostra eroina allontanandola dal suo pigmalione e mecenate tedesco (dunque nemico, per i francesi dell'epoca). La tenuta drammatica complessiva, non disprezzabile, è a onor del vero neppure impeccabile.
Ma il percorso di Séraphine ha anche un che di disneyano: la sua condizione di "cenerentola"; l'antagonismo dei padroni, insensibili all'arte e chiusi alle modernità in maniera eccessivamente esplicita; il destino irrimediabilmente avverso.
Più adulta e riuscita la riflessione sull'atipica religiosità della donna, non priva di accenti panteistici; un filo grossolane le corrispondenze individuate tra uomo e natura, fonte di ispirazione se la si contempla, di quiete se vi ci si immerge. Gli sceneggiatori sono comunque attenti a non lasciarle per strada e riscattano tali schematicità con un'ultima sequenza in campo lungo, ammirevole per poesia e pudore.
Non convince del tutto l'osannata Yolande Moreau, talvolta davvero intensa, altrove un po' fasulla, forse più adatta al comico-grottesco di un
"Louise-Michel". Discorso diverso per le musiche per archi di Michael Galasso: tese, vibranti, essenziali.
22/10/2010