Ayrton Senna è morto il primo maggio 1994, a soli trentaquattro anni, a causa di un incidente automobilistico avvenuto durante il gran premio di San Marino, poche ore dopo avere contribuito all'idea di istituire nuovamente la GPDA (Grand Prix Driver's Association), associazione di piloti di formula uno, già molto attiva negli anni sessanta e settanta, con lo scopo principale di tutelare la sicurezza dei corridori in pista. L'associazione si sarebbe attivata di lì a poco e quello del campione brasiliano è rimasto l'ultimo decesso durante una gara.
Tre volte vincitore del titolo mondiale, vero e proprio “idolo delle folle” in patria, personaggio al centro delle cronache sportive come di quelle rosa, Ayrton Senna ha incarnato alla perfezione l'idea dello sportivo che ama “vivere al massimo”, ma senza (almeno fino ad un certo punto) quel gusto per gli eccessi che spesso caratterizza l'esistenza di certi personaggi del mondo dello sport. Coi suoi modi da ragazzo perbene e la sua voce pacata, conquista facilmente le simpatie di tutti, in particolare dei suoi connazionali che vedevano nei suoi trionfi anche un'occasione di riscatto per tutto il Brasile, all'epoca paese che di soddisfazioni ne conosceva poche. In tal senso sicuramente esagerando un po', anche perché la parabola di Senna, rampollo di una famiglia benestante che lo ha sempre sostenuto (anche economicamente) nelle sue ambizioni, è ben diversa da quella di alcuni fenomeni, ad esempio, calcistici che, partendo dalle favelas sono arrivati a conquistare il mondo (o comunque una parte); d'altronde chi segue lo sport sa che questo tipo di proiezione è tutt'altro che raro.
Celebrato già da musica e letteratura, Senna non poteva lasciare indifferente il cinema e in tutti questi anni molti hanno tentato di raccontare in un film le sue gesta e le sue vittorie. Anche perché nel frattempo la biopic è tornata ad essere un sottogenere molto popolare e il ricordo del campione è ancora assai vivo (la sua tomba viene regolarmente visitata da tantissimi curiosi, come succede con quelle di altre icone moderne). Alcuni dei progetti annunciati erano particolarmente bislacchi, quindi alla fine è stato un bene che al pilota non sia stata dedicata un'opera di finzione ma un documentario.
“Senna”, presentato (e premiato) al Sundance lo scorso gennaio, accolto in seguito con entusiasmo da parte di tutta la critica, rappresenta l'esordio in questo campo di Asif Kapadia, regista di origini indiane, già autore dell'apprezzato “The Warrior” (da non confondere col film sulle MMA interpretato da Tom Hardy e Nick Nolte) e del poco considerato “Far North” (il miglior ruolo per la splendida Michelle Yeoh post “Tigre & Dragone”). Studiando e selezionando, si dice, quindicimila ore di materiale filmato, Kapadia ha assemblato interviste, servizi televisivi, riprese di competizioni e filmini di famiglia, ricostruendo la folgorante carriera del pilota dal suo esordio in formula 1 nel 1984 fino alla famigerata curva del Tamburello, dove finiscono le sue gare e la sua vita. Dieci anni di sfide e vittorie, ricostruite anche coi commenti di chi (colleghi, tecnici, giornalisti) li ha vissuti da vicino. Di questi strabilianti dieci anni mancano alcuni aspetti controversi (nessun riferimento a Eddie Irvine e neanche alla frequentazione di una ragazza quindicenne); tale scelta naturalmente facilita l'empatia nei confronti del pilota, ma questa non dipende solo dalla presunta agiografia che qualcuno ha visto nel film, quanto soprattutto dall'abilità che ha avuto Kapadia di descrivere Senna come un personaggio interessante che ha vissuto l'automobilismo con passione, la cui sfida più importante non è stata quella nel circuito ma quella contro l'establishment, come quando criticò apertamente i dirigenti per l'introduzione della nuova generazione di auto con tecnologie avanzate a bordo. Alla luce di questa accesa polemica, anche la rivalità con Alain Prost, co-pilota di Senna alla McLaren, assume un significato particolare nel film, visto che il patron della FIA Jean-Marie Balestre parteggiava decisamente per il pilota francese (del quale, prevedibilmente, emerge un ritratto non proprio entusiasmante). Anche se forse è troppo semplicistico risolvere il tutto affermando che Senna è l'eroe della storia e Balestre (scomparso nel 2008) il cattivo, i momenti migliori del documentario sono proprio quelli in cui viene fuori la natura ribelle di Ayrton, insieme a quelli in cui emerge il suo lato sensibile, come ad esempio la sua reazione alla morte di Roland Ratzenberger, il pilota austriaco suo coetaneo, deceduto a Imola durante le prove del gran premio dove Senna sarebbe morto il giorno dopo (tra l'altro aveva deciso che, in caso di vittoria, avrebbe sventolato la bandiera dell'Austria in memoria del collega defunto).
Il risultato più bello di “Senna” è quello di riuscire a farci capire quale pilota fuoriclasse fosse, questo grazie anche al prodigo lavoro dei montatori Chris King e Greger Sall che ricostruiscono le competizioni con un ritmo e un'energia che non lascerebbero insoddisfatti gli appassionati di “Fast & Furious”. L'Academy non ha accettato “Senna” fra i finalisti per la categoria miglior documentario (decisione che avrebbe dell'incredibile se non sapessimo che queste persone sono le stesse che qualche anno fa hanno riservato un trattamento simile a “Grizzly Man” di Herzog), ma essendo il film stato regolarmente distribuito in America, può concorrere alle altre categorie, quindi (visto che candidature alle opere non di finzione in passato qualche volta ci sono state) sarebbe bello se il lavoro dei due fosse preso in considerazione nella categoria del miglior montaggio. “Senna” in Italia non ha avuto una grande distribuzione, ma è un film senza dubbio da recuperare, anche da coloro che non si sono mai interessati alle gare di Formula 1.
regia:
Asif Kapadia
distribuzione:
Universal
durata:
162'
produzione:
Working Title Films
sceneggiatura:
Manish Pandey
fotografia:
Jake Polonsky
montaggio:
Chris King, Gregers Sall
musiche:
Antonio Pinto