Di nuovo, la famiglia americana esce a pezzi da un film. Stavolta, è la guerra tra un padre e un figlio o, meglio, la crociata del primo contro il secondo, a far deflagrare il focolare domestico. Avanti e indietro nel tempo, con un Michael a volte bambino, occhialuto e sognatore, a volte adulto, in crisi coniugale e scrittore di successo, questo "Un segreto tra di noi" (premio indiscusso per la peggior traduzione di un titolo straniero) mette in scena l'ennesimo disfacimento del sogno a stelle e strisce. Una cosa, però, colpisce molto: Dennis Lee, il regista esordiente proveniente dal mondo dei cortometraggi, è un femminista incallito; i maschi sono la rovina di casa, per lui. Il padre Charles (Willem Dafoe più smorfioso che mai) scarica sul pargolo le sue frustrazioni professionali: è un docente di letteratura che, però, nessuno stima. Il figlio (nella sua versione adulta interpretato da Ryan Reynolds) voleva giocare e sbirciare la giovane zia, ma gli toccava scrivere insulse regole per volere paterno ed è finito per diventare lo scrittore famoso che lo stesso papà Charles sognava.
Intorno a loro, un universo femminile di personaggi risoluti, coraggiosi, forti, che tengono in piedi le apparenze e difendono i più piccoli dell'albero genealogico. Solo grazie a loro, forse, un futuro migliore è ipotizzabile. C'è innanzi tutto Lisa (Julia Roberts), moglie e madre, che per una vita intera ha tentato di promuovere l'armonia tra i due litiganti. Poi c'è Jane (Emily Watson), la sorellina di Lisa, che da piccola turbava i sogni di Michael e da grande è la nuova mediatrice familiare. Infine Kelly (Carrie-Anne Moss, bella come non mai), moglie alcolista del protagonista, ma pronta a tirare fuori gli artigli per proteggere il coniuge dagli attacchi paterni.
Con un
cast del genere e con personaggi così marcati e stereotipati nelle loro esagerazioni, era facile prevedere il classico melodrammone antipatico, pieno di scene regine, di pianti, urla, corna e via. E invece, c'è del buono in questa pellicola. Innanzi tutto, il debuttante Lee non ha paura di tenere il ritmo costantemente sotto regime, fa parlare gli interpreti quasi sempre sotto voce, mai per luoghi comuni. Il problema è che il tema è di quelli abusatissimi (e difficilissimi). Mettere in scena un dramma di soli interni, che ha molto di teatrale e di letterario, è sempre complicato. La sceneggiatura è infatti debole. Nonostante le scelte coraggiose di cui abbiamo fatto menzione, rimane un dubbio finale: il cerchio si è chiuso? Il film è finito davvero come l'autore aveva in mente? O forse, a un certo punto, ha solo finito l'inchiostro? L'impressione è che sia andata proprio così: molti, troppi passaggi sono irrisolti, ognuno subirà una metamorfosi frettolosa e l'incubo del lieto fine (anche se Lee si ferma in tempo per non mostrarcelo) è davvero dietro l'angolo. C'è anche un altro interrogativo che sovviene a fine proiezione: possibile che la tragedia mortale sia inevitabile? Davvero è così difficile parlare di famiglia in un film drammatico senza ricorrere alla dipartita improvvisa (che non sveliamo, ma che in questo film è davvero telefonata)?
In ogni caso, il pubblico italiano si alzerà dalle poltrone del cinema con un ulteriore, inquietante punto di domanda: ma il segreto tra di loro qual è? Non era forse meglio lasciare il titolo originale, "Fireflies in the Garden", che è lo stesso del libro che Michael adulto sta scrivendo per vendicarsi di suo padre? Forse no, non era meglio; lasciar intendere una svolta thriller ha del comico, oltre che del ridicolo.
05/10/2008